IL GIOCO DEI TAPPINI

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La variante cittadina delle palline da spiaggia erano i tappini, cioè i tappi a corona delle bibite. I tappini avevano il vantaggio di non costare nulla, si trovavano facilmente in casa o frugando nelle vicinanze dei bar, a differenza delle biglie per le quali si dovevano sborsare anche 10 lire l’una! La pista la si inventava segnando con del gesso o una scheggia di mattone un marciapiede o utilizzando un percorso cittadino naturale, che noi avevamo trovato nello spiazzo a quel tempo abbandonato che si trovava dove ora è il lato monte di Piazzale Kennedy. Quello spiazzo immenso veniva utilizzato solo per i tendoni dei circhi e per ospitare il Luna Park, o meglio, i Baracconi di Viotto, che si fermavano da novembre fino a gennaio, ma il resto dell’anno era totalmente vuoto. Si entrava per mezzo di un buco nella recinzione di maglie di ferro stando bene attenti a non avvicinarsi troppo alla carrozzeria che ne occupava un angolo per via dell’irritabile cane che ne faceva la guardia. In genere ci si metteva nell’angolo diametralmente opposto alla carrozzeria, perché…. “non si sa mai”. I bordi dello spiazzo erano leggermente sopraelevati, una specie di marciapiede semisterrato correva lungo tutto il perimetro e consentiva di creare uno splendido rettilineo dal fondo in cemento regolare, mentre il resto della pista era fortemente accidentato. Si giocava con un tappino ciascuno, con la corona rivolta verso l’alto. Le regole erano quelle delle palline da spiaggia, ma i tappini erano interscambiabili. C’erano quelli “da velocità” che si preparavano fregandone la parte superiore contro il marciapiede in modo da farli diventare lisci come lame, quelli “da curva” preparati facendo colare un po’ di cera da una candela all’interno della corona, ma solo su un lato in modo da favorire un movimento circolare del tappino, quelli “da salita” (o da discesa), appesantiti con la cera sciolta all’interno della corona in modo uniforme per evitare che prendessero troppa velocità e uscissero di pista. All’interno della corona del tappino ufficiale, alle volte anche in quelli speciali, si incastrava l’immagine del ciclista preferito, ritagliato da un giornale o da una figurina. Anche in questo caso era severamente vietato tagliare le curve, mentre era ammesso buttare fuori il tappino dell’avversario per avvantaggiarsi. Ogni giorno si creava una pista diversa fino ad inventarci un vero e proprio giro d’Italia dei tappini. Si potevano trascorrere interi pomeriggi così, senza bisogno di altro.

Varianti locali

A Fossamastra i tappini erano chiamati limonette, e alla fine degli Anni Sessanta-primi Settanta si sono svolte epiche sfide. Ogni giocatore aveva una squadra composta da tre limonette e sulla pista tracciata di gesso venivano disputate le tappe del giro. C'era la tappa dedicata ai velocisti, senza molte curve e da svolgere tutta d'un fiato, e poi quella di montagna, disegnata su percorsi anche molto elaborati, costruiti con materiale di risulta.

I protagonisti erano ovviamente i ciclisti del tempo, da Gimondi a Bitossi, da Zandegù a Motta. E' impressionante il confronto fra il divertimento a costo zero di allora e i costi di alcuni contemporanei svaghi che magari sono anche un pò deludenti, come certi film...

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