SAN VENERIO E LA VELA LATINA

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Il leudo Zigoela, nel canale tra l’isola del Tino e la Palmaria, trova il passo giusto. Con i suoi 126 metri quadrati di tela, il vento finalmente generoso e l'equipaggio attento ad ottimizzare la regolazione delle vele, dà il meglio di sé, al comando di Roberto Bertonati. La rimonta è lenta ma inesorabile. Questa, ad un certo punto, passa per l’ingaggio del gozzo Palusa del Fezzano. A bordo il giovane equipaggio di ragazzini allestito da Marco Nardini assiste impotente al sorpasso, che avviene da sopravvento. No, non imprecano. Anzi applaudono, rendono onore agli “avversari". La festa diventa trascinante, coinvolgendo l'equipaggio del leudo. Tutti ora inneggiano all’unisono: «Viva la Vela Latina! ». E con gli occhi rivolti all'isola del Tino: «Grazie, San Veneriol». Quando Zigoela sfila a lato del gozzo e l'ultimo spicchio di ombra si dissolve sulla prua della barca Fezzanotta, l’applauso è generale. Chi sta sulle barche più vicine, accortosi dell'ideale abbraccio sulle onde e della preghiera che da esse si leva, batte le mani. Ci sono la lancetta Nando e i gozzi Barmaleo, Robilù, Rina e Rosso delle Grazie, il canotto Maoa di Marola, i gozzi Do Nono di Cadimare, Robin del Canaletto,Veleno di Lerici, Barba Ferdinando e Zingara di San Terenzo e la schiera delle altre barche a vela latina del Fezzano: Squalo, Piero, Paolin. In avvicinamento anche il leudo Domenica Nina del Parco delle Cinque Terre. Provenienze diverse nell'ideale scenario e un unico amore: per la Vela Latina. Che qui nelle trasparenze azzurre del parco marino di Porto Venere è destinata a ritrovare i suoi momenti di gloria, insieme all’omaggio al suo “pioniere”, nato nel 560 e morto nel 630. La tradizione indica in San Venerio l'inventore, ma è forse più giusto dire il promotore, della vela latina nel mare del Golfo, "È vero — come ricordò il cardinale Gaetano Cicognani il 13 settembre del 1960 nella cerimonia in occasione della traslazione della reliquia di San Venerio da Reggio Emilia alla Spezia - che le notizie intorno alla santità di Venerio e alla sua operosità ci sono pervenute involte in una serie di racconti leggendari, ma anche le leggende possono avere un fondo storico o almeno un valore di ambiente psicologico; possiamo assomigliarle a ricami della fantasia per abbellire ciò che il cuore sente». E le genti del Golfo devote a San Venerio "sentono” che la sua perizia marinaresca, le sue ansie nei confronti dei naviganti - che sono fuori discussione, considerando l'accensione dei fuochi sull'isola del Tino nelle notti di luna nera - sono state alla base dell’intuizione che portò a ritenere la vela triangolare assicurata ad un'antenna issata sull'albero, molto più efficace della vela quadra, soprattutto per risalire il vento. ln effetti la documentazione più antica relativa alla vela latina in Mediterraneo è individuata, secondo tutti gli storici, nel bassorilievo sulla stele tombale di Alessandro da Mileto, trovata a Eleusis, risalente al 150 a.C. e attualmente conservata al Museo archeologico nazionale di Atene. Più controverse, invece, sono le ragioni della denominazione “latina”. C'è chi sostiene che provenga dagli europei del Nord perché la videro issata nei mari ‘“latini” quando nel Medioevo scesero verso il Mediterraneo. C'è, invece, chi fa derivare il nome dalla forma triangolare “a la trina” da cui, per contrazione, “latina".

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Resta il fatto del filo conduttore che ha attraversato popoli diversi e che, di fronte all'esigenza di navigare e risalire il vento, sono arrivati alla stessa conclusione: la resa di una vela triangolare, inferita su un'antenna issata sull'albero, è superiore a quella di una vela quadra. Poi, ognuno, nella sua terra ha armato a vela latina le barche della propria tradizione marinara e in relazione al diverso impiego. Ma, tornando a San Venerio, ecco come Ubaldo Fornelli, il più appassionato ricercatore che si è dedicato alla ricostruzione della storia del Santo e al rilancio del suo culto attraverso l'associazione Pro lnsula Tyro fondata nel 1956, narra la genesi della vela latina nel Golfo nel suo libro, stampato nel 1961, «Il Tino, l’isola di Venerio, santo pescatore». «Aveva notato, Venerio, che la vela usuale ai pescatori del Golfo di Luni era poco maneggevole contro le raffiche improvvise, quelle raffiche a ricciolo cosi temute nel doppiar punte e promontori. Suggerì la sostituzione della vela grande a forma quadrata con la vela triangolare e l'albero portato più a prora per poter meglio reggere la lunga antenna della vela. Era la vela latina che tutt'oggi è usata su molti mari e che forse egli l'aveva notata al passaggio di qualche nave fenicia o, più probabilmente, aveva scoperto per diretta ispirazione. Volle che ne fosse fabbricato un modello, per una piccola imbarcazione, ne disegnò lui stesso la vela e diede le misure esatte proporzionate con giusto equilibrio tra l’albero e l'antenna. E da solo, nelle dure giornate di scirocco e di aquilone, più volte mostrò ai marinai come si potesse doppiare con minor sforzo e più sicurezza le punte del Corvo e del Mesco, famose per i loro naufragi. La sua vela fu accettata da tutti e molte vite e averi furono risparmiati». L'argomento delle innovazioni veliche attribuibili a San Venerio è stato ripreso 41 anni dopo da Gino Di Rosa, nell'avvincente narrazione a misura di adolescenti Venerio il santo pescatore» (edizione Lunae Editore); lì viene ricostruita una possibile genesi dell’idea del fiocco. Merita riportare i passi salienti. Siamo a Porto Venere, la mattina dopo una burrasca di tramontana. Venerio trovò un pezzo di legno, pesante e massiccio, forse il relitto di un vecchio timone che il fortunale aveva scaraventato sulla spiaggia... Lo mise ad asciugare su uno scoglio. Voglio farmi una barchetta per provare se è possibile escogitare manovre meno faticose di quelle che usiamo quando il vento gonfia la vela, disse ad un amichetto .... La voce arrivò all'orecchio dei pescatori. Anche quelli che stimavano quel ragazzo, sempre serio e determinato, borbottavano increduli, Venerio spiegava: la grande vela quadra che hanno inventato i Romani va bene quando l’aria spira da poppa. Se noi, a prora, tendiamo una piccola vela triangolare con la barra mobile riusciremo a bordeggiare senza fatica". I ragionamenti di Venerio convinsero i portoveneresi. Ben presto dovette constatare che l'idea del ragazzo era davvero geniale». l'incedere della narrazione è più simile alla favola che alla ricostruzione storica, ma gli scettici hanno un ancoraggio...lapidario per apprezzare il rapporto fra San Venerio e la vela latina. È costituito dalla lastra di chiusura, lavorata a basso rilievo, della cosiddetta «Tomba della vela» emersa sull’isola del Tino durante le campagne di scavo negli anni Sessanta. Nella Cappella Cenotafio dell'Isola del Tino si trova poi un quadro raffigurante San Venerio, del pittore Cuneo, che “documenta" attività e miracoli di San Venerio: dall'accensione dei falò sulla sommità del Isola del Tino alla nascita anticipata delle spighe di grano sull'isola, dalla resurrezione del bambino annegato agli studi sulla vela latina; un disegno con la forma tipica dell’armatura velica si presenta ai piedi della raffigurazione del santo.

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Un omaggio a San Venerio e alle sue intuizioni veliche è arrivato in occasione della seconda tappa del Circuito mediterraneo della Vela Latina svoltasi nelle acque del Golfo dei poeti, con base del raduno alle Grazie, promossa dal Comune di Porto Venere su impulso dell'assessore Fabio Carassale, del presidente della Servizi portuali turistici Eugenio Calcagnini, del consigliere Massimo Stradini e di un pugno di volontari appassionati fra cui spiccano i soci della Compagnia della Vela Latina. Carla Ferro e Anna Maria Carpena dell'associazione culturale Calata di Ria, nell'ambito di una mostra-revival, hanno dedicato al rapporto San Venerio-vela latina un opportuno spazio, attingendo all'opera di Ubaldo Fornelli e a materiali forniti da Carlo Castellini della Pro lnsula Tyro. Non a caso, poi, il percorso della prima e più lunga regata prevedeva di "doppiare" l'Isola del Tino. Ammirati gli equipaggi delle 23 imbarcazioni partecipanti, provenienti al di là del Golfo dei poeti, dalla Sardegna, dal Ponente ligure e dalla Campania. Passando davanti al Tino i marinai hanno chinato il capo. Nell'occasione del trasferimento della reliquia e della statua di San Venerio al Tino, tra le barche che hanno dato vita alla processione marina, c’era il leudo Zigoela, con la sua armatura a vela latina. Una presenza che segna un primo passo nella rotta di avvicinamento fra la Compagnia della Vela Latina e la Pro lnsula Tyro per realizzare, un domani che ci auguriamo prossimo, un evento della Vela Latina tutto dedicato a San Venerio.

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