8 SETTEMBRE 1943 ALLA SPEZIA
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- | L’8 settembre 1943 alla [[:Categoria:CITTA' DELLA SPEZIA|Spezia]], considerato che le scuole erano ancora chiuse e molte famiglie sfollate nei dintorni campagnoli, c'erano forse più militari che civili, soprattutto marinai, con la maggior parte della flotta ancorata in rada. Nella tarda serata di quel giorno l’ EIAR diramò un famoso comunicato"straordinario: uscivamo dalla guerra, si, pronti a reagire però contro chiunque ce lo avesse impedito. La baraonda cominciò ai primi chiarori del giorno dopo: la flotta salpò al completo «per destinazione ignota» ma anche Armandino della Vanicella, un buontempone che abitava in via Ferruccio e strambottava maledicendo in versi goffi il proprio domicilio, sapeva che la Marina era attesa a Malta, in ossequio alla resa pattuita. La reazione dei tedeschi fu immediata, l'occupazione delle zone militari della città, affidata a poche pattuglie che marciavano cantando al centro delle strade, fulminea. Entrarono subito in Arsenale, per l’entrata principale, spintonando i poveri carabinieri che, formalmente, chiedevano documenti. Un capitano di vascello della Kriegsmarine assunse il comando in capo dell'intero stabilimento. Dalla caserma-deposito «Duca degli Abruzzi» di viale Savoia fuoriuscirono migliaia di marinai avviati allo sbandamento generale. Nei cortili vuoti, nei magazzini, nelle cucine fece irruzione la popolazione civile del quartiere, mettendo mano su tutto ciò che potesse essere utile. Carne in scatola, gallette, materassi, lenzuola, scarpe, stivali, maglioni, sigarette, sale, sacchi di patate, latte d’olio. Si vide persino una vecchietta spingere fuori un'enorme ruota di formaggio parmigiano. Sembrava un’assurda bambina che giocasse con un cerchio altrettanto assurdo. Al porto, proprio all'altezza dell’[[OSPEDALE SANT'ANDREA|Ospedale Civile]], c’erano due navi-ospedale all'ancora. Il «Gradisca» e il «Virgilio», tutte bianche con una grande croce rossa sulle fiancate. Anche qui l'abbordaggio dei civili fu rapido. La preda: materassi, lenzuola, garze, termometri, medicinali. Persino clisteri centrimetrati. Tedeschi, intanto, issavano bandiere uncinate su tutte le fortificazioni disseminate sulle alture del golfo. L’occupazione della batteria «Domenico Chiodo» di [[:Categoria:MONTEMARCELLO|Montemarcello]], con i suoi cannoni a lunga gittata, abbandonata dai marinai, fu tragicomica. Cioè i tedeschi, immaginando di trovarvi chissà quale resistenza, raggiunsero l’altura attraverso i sentieri del boschi, mimetizzati con reticelle sugli elmetti e frasche. All’entrata del paese, prima di avventurarsi sotto i muri della batteria e le sagome brandite dei cannoni, catturarono un indigeno. Gli chiesero brutalmente se alla batteria ì c'erano ancora soldati, quanti fossero in numero, che intenzioni avessero verso i tedeschi. L'indigeno farfugliava parole incomprensibili anche all’interprete. L'oberleutenent che comandava il blitz, ritenendo che l'interrogato non volesse parlare, per odio verso i tedeschi, dette ordini minacciosi e furono spianati fucili contro il malcapitato. Per fortuna che sopravvenne il prete del paese il quale spiegò a quei guerrieri irritati che essi, casualmente, si erano imbattuti nell’unico sordo-muto del paese. Allora i tedeschi risero, ma a modo loro: una risata per niente allegra. In città la confusione e la paralisi erano complete: non marciavano neppure i tram, chiusi i bar si beveva alle fontane, c’era molta polvere, però quello strano giorno si fumava in abbondanza. Uscivano sigarette da tutte le parti. Al [[:Categoria:CANALETTO|Canaletto]] due ufficiali di Marina che si erano avventurati verso [[:Categoria:LERICI|Lerici]] su una «Topolino» nera, si imbatterono in un soldatone della «Feldgendarmerie» con la sua piastra di zinco al collo e machìnenpistole spianato. | + | L’8 settembre 1943 alla [[:Categoria:CITTA' DELLA SPEZIA|Spezia]], considerato che le scuole erano ancora chiuse e molte famiglie sfollate nei dintorni campagnoli, c'erano forse più militari che civili, soprattutto marinai, con la maggior parte della flotta ancorata in rada. Nella tarda serata di quel giorno l’ EIAR diramò un famoso comunicato"straordinario: uscivamo dalla guerra, si, pronti a reagire però contro chiunque ce lo avesse impedito. La baraonda cominciò ai primi chiarori del giorno dopo: la flotta salpò al completo «per destinazione ignota» ma anche Armandino della Vanicella, un buontempone che abitava in via Ferruccio e strambottava maledicendo in versi goffi il proprio domicilio, sapeva che la Marina era attesa a Malta, in ossequio alla resa pattuita. La reazione dei tedeschi fu immediata, l'occupazione delle zone militari della città, affidata a poche pattuglie che marciavano cantando al centro delle strade, fulminea. Entrarono subito in Arsenale, per l’entrata principale, spintonando i poveri carabinieri che, formalmente, chiedevano documenti. Un capitano di vascello della Kriegsmarine assunse il comando in capo dell'intero stabilimento. Dalla caserma-deposito «Duca degli Abruzzi» di viale Savoia fuoriuscirono migliaia di marinai avviati allo sbandamento generale. Nei cortili vuoti, nei magazzini, nelle cucine fece irruzione la popolazione civile del quartiere, mettendo mano su tutto ciò che potesse essere utile. Carne in scatola, gallette, materassi, lenzuola, scarpe, stivali, maglioni, sigarette, sale, sacchi di patate, latte d’olio. Si vide persino una vecchietta spingere fuori un'enorme ruota di formaggio parmigiano. Sembrava un’assurda bambina che giocasse con un cerchio altrettanto assurdo. Al porto, proprio all'altezza dell’[[OSPEDALE SANT'ANDREA|Ospedale Civile]], c’erano due navi-ospedale all'ancora. Il «Gradisca» e il «Virgilio», tutte bianche con una grande croce rossa sulle fiancate. Anche qui l'abbordaggio dei civili fu rapido. La preda: materassi, lenzuola, garze, termometri, medicinali. Persino clisteri centrimetrati. Tedeschi, intanto, issavano bandiere uncinate su tutte le fortificazioni disseminate sulle alture del golfo. L’occupazione della batteria «Domenico Chiodo» di [[:Categoria:MONTEMARCELLO|Montemarcello]], con i suoi cannoni a lunga gittata, abbandonata dai marinai, fu tragicomica. Cioè i tedeschi, immaginando di trovarvi chissà quale resistenza, raggiunsero l’altura attraverso i sentieri del boschi, mimetizzati con reticelle sugli elmetti e frasche. All’entrata del paese, prima di avventurarsi sotto i muri della batteria e le sagome brandite dei cannoni, catturarono un indigeno. Gli chiesero brutalmente se alla batteria ì c'erano ancora soldati, quanti fossero in numero, che intenzioni avessero verso i tedeschi. L'indigeno farfugliava parole incomprensibili anche all’interprete. L'oberleutenent che comandava il blitz, ritenendo che l'interrogato non volesse parlare, per odio verso i tedeschi, dette ordini minacciosi e furono spianati fucili contro il malcapitato. Per fortuna che sopravvenne il prete del paese il quale spiegò a quei guerrieri irritati che essi, casualmente, si erano imbattuti nell’unico sordo-muto del paese. Allora i tedeschi risero, ma a modo loro: una risata per niente allegra. In città la confusione e la paralisi erano complete: non marciavano neppure i tram, chiusi i bar si beveva alle fontane, c’era molta polvere, però quello strano giorno si fumava in abbondanza. Uscivano sigarette da tutte le parti. Al [[:Categoria:CANALETTO|Canaletto]] due ufficiali di Marina che si erano avventurati verso [[:Categoria:LERICI|Lerici]] su una «Topolino» nera, si imbatterono in un soldatone della «Feldgendarmerie» con la sua piastra di zinco al collo e machìnenpistole spianato.In pochi secondi si ritrovarono appiedati. In loro luogo partì, con manovra bizzarra e divertita, il soldatone cantando una canzonaccia di guerra. Il marò Nando Fregoso, gia detto «il Porchetto», sbandato ma energico, convinse un tramviere a riprendere il servizio per [[:Categoria:MIGLIARINA|Migliarina]]. E con lui si imbarcarono altri marò spezzini che abitavano in quella contrada. Giunse finalmente (e pietosamente) anche la sera, dopo un giorno così convulso. Sulle strade gli sbandati infittivano, le voci si incrociavano nel buio in un’orgia di tutti i dialetti d’Italia. [[:Categoria:CITTA' DELLA SPEZIA|La Spezia]], già piazzaforte militare marittima, sembrava un immenso bivacco. |
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Versione delle 14:31, 1 set 2011
L’8 settembre 1943 alla Spezia, considerato che le scuole erano ancora chiuse e molte famiglie sfollate nei dintorni campagnoli, c'erano forse più militari che civili, soprattutto marinai, con la maggior parte della flotta ancorata in rada. Nella tarda serata di quel giorno l’ EIAR diramò un famoso comunicato"straordinario: uscivamo dalla guerra, si, pronti a reagire però contro chiunque ce lo avesse impedito. La baraonda cominciò ai primi chiarori del giorno dopo: la flotta salpò al completo «per destinazione ignota» ma anche Armandino della Vanicella, un buontempone che abitava in via Ferruccio e strambottava maledicendo in versi goffi il proprio domicilio, sapeva che la Marina era attesa a Malta, in ossequio alla resa pattuita. La reazione dei tedeschi fu immediata, l'occupazione delle zone militari della città, affidata a poche pattuglie che marciavano cantando al centro delle strade, fulminea. Entrarono subito in Arsenale, per l’entrata principale, spintonando i poveri carabinieri che, formalmente, chiedevano documenti. Un capitano di vascello della Kriegsmarine assunse il comando in capo dell'intero stabilimento. Dalla caserma-deposito «Duca degli Abruzzi» di viale Savoia fuoriuscirono migliaia di marinai avviati allo sbandamento generale. Nei cortili vuoti, nei magazzini, nelle cucine fece irruzione la popolazione civile del quartiere, mettendo mano su tutto ciò che potesse essere utile. Carne in scatola, gallette, materassi, lenzuola, scarpe, stivali, maglioni, sigarette, sale, sacchi di patate, latte d’olio. Si vide persino una vecchietta spingere fuori un'enorme ruota di formaggio parmigiano. Sembrava un’assurda bambina che giocasse con un cerchio altrettanto assurdo. Al porto, proprio all'altezza dell’Ospedale Civile, c’erano due navi-ospedale all'ancora. Il «Gradisca» e il «Virgilio», tutte bianche con una grande croce rossa sulle fiancate. Anche qui l'abbordaggio dei civili fu rapido. La preda: materassi, lenzuola, garze, termometri, medicinali. Persino clisteri centrimetrati. Tedeschi, intanto, issavano bandiere uncinate su tutte le fortificazioni disseminate sulle alture del golfo. L’occupazione della batteria «Domenico Chiodo» di Montemarcello, con i suoi cannoni a lunga gittata, abbandonata dai marinai, fu tragicomica. Cioè i tedeschi, immaginando di trovarvi chissà quale resistenza, raggiunsero l’altura attraverso i sentieri del boschi, mimetizzati con reticelle sugli elmetti e frasche. All’entrata del paese, prima di avventurarsi sotto i muri della batteria e le sagome brandite dei cannoni, catturarono un indigeno. Gli chiesero brutalmente se alla batteria ì c'erano ancora soldati, quanti fossero in numero, che intenzioni avessero verso i tedeschi. L'indigeno farfugliava parole incomprensibili anche all’interprete. L'oberleutenent che comandava il blitz, ritenendo che l'interrogato non volesse parlare, per odio verso i tedeschi, dette ordini minacciosi e furono spianati fucili contro il malcapitato. Per fortuna che sopravvenne il prete del paese il quale spiegò a quei guerrieri irritati che essi, casualmente, si erano imbattuti nell’unico sordo-muto del paese. Allora i tedeschi risero, ma a modo loro: una risata per niente allegra. In città la confusione e la paralisi erano complete: non marciavano neppure i tram, chiusi i bar si beveva alle fontane, c’era molta polvere, però quello strano giorno si fumava in abbondanza. Uscivano sigarette da tutte le parti. Al Canaletto due ufficiali di Marina che si erano avventurati verso Lerici su una «Topolino» nera, si imbatterono in un soldatone della «Feldgendarmerie» con la sua piastra di zinco al collo e machìnenpistole spianato.In pochi secondi si ritrovarono appiedati. In loro luogo partì, con manovra bizzarra e divertita, il soldatone cantando una canzonaccia di guerra. Il marò Nando Fregoso, gia detto «il Porchetto», sbandato ma energico, convinse un tramviere a riprendere il servizio per Migliarina. E con lui si imbarcarono altri marò spezzini che abitavano in quella contrada. Giunse finalmente (e pietosamente) anche la sera, dopo un giorno così convulso. Sulle strade gli sbandati infittivano, le voci si incrociavano nel buio in un’orgia di tutti i dialetti d’Italia. La Spezia, già piazzaforte militare marittima, sembrava un immenso bivacco.