UN GRUPPO MARMOREO

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Una famosa carta del 1767, "Delineazione della Spezia" e suoi contorni, realizzata dai cartografi Ferretto e Brusco, rappresenta il territorio esterno alla Città allora ancora murata. Per quello che interessa, è ben visibile l’ampia zona che poco meno di un secolo più tardi sarebbe stata profondamente ed ampiamente scavata per realizzare la darsena e i bacini dell’Arsenale. Ma prima che là andassero a dimora le onde salse, era terra coltivata a frutta e ulivo, poche case e non poche chiesette che la devozione popolare aveva eretto per più motivi: celebrare un evento eccezionale cui non si sapeva dare altra spiegazione se non ricorrendo al miracolo, impetrare la benedizione e la protezione celeste, o più semplicemente testimoniare la propria devozione. Ebbene, sulla verticale condotta dalla porta di Biassa (era all’incrocio delle vie odierne Biassa e Colombo, giusto dove oggi sta la Banca d’Italia), a circa 150 metri da quella uscita verso ovest, stava la chiesa della Madonna della Lagora. Stava dove la viuzza che usciva dalla porta incontrava quel fiumiciattolo che scendeva al mare dalle colline. In tempi successivi la chiesetta verrà anche detta della Madonna della Neve. Il piccolo santuario che con gli altri finitimi era consacrato al culto mariano, confinava a settentrione con un ampio appezzamento di terreno con un ampio appezzamento di terreno di proprietà della famiglia Campi. In tempi recenti quei proprietari avevano decorato il portale che immetteva con il loro terreno, con una decorazione marmorea di puro gusto barocco.
L’ornamento rappresentava un fregio curvilineo, decorato con stelle, diviso in più segmenti e che aveva al centro il busto sbalzato in bassorilievo della Vergine con in braccio il Bambino. Sopra, staccato, un fregio svolazzante, quasi un nastro che si srotola in volute, su cui stava scolpito in lettere capitali un verso tratto dal capitolo 24 libro dell’Ecclesiastico: QUASI OLIVA SPECIOSA IN CAMPIS, come una bella pianta di ulivo nelle campagne. Sono ben evidenti i riferimenti tanto alla figura della Madonna (il frutto dell’olivo, l’olio, è il simbolo della pietà), quanto alla famiglia Campi che quel gruppo aveva fatto realizzare.
Quando poi nei primissimi anni Sessanta dell’Ottocento i cavafanghi, le ruspe del tempo, cominciano a scavare per l’Arsenale, tutta quell’ampia area viene sconvolta e la fisionomia del territorio ne esce rivoluzionata. Le proprietà sono espropriate e quelle chiese che erano uscite indenni dalla conversione al civile che solo pochi decenni prima avevano voluto i Francesi, spariscono, soppresse dalla ragione del nuovo stato italiano che dimostra nei loro confronti molto meno pietà e rispetto di quella manifestata dalle aquile napoleoniche. Quando poi si inizia a costruire (la fabbrica data al 1898) l’ampio complesso della Chiesa della Madonna della Neve in via Garibaldi, il complesso marmoreo, forse tirato fuori da un magazzino che l’aveva provvidenzialmente preservato per quasi un quarantennio, viene adoperato per prima decorazione della prima porta d’accesso alla nuova chiesa.
Queste notizia ce le fornisce Ubaldo Mazzini in un articolo di giornale, poi raccolto con altri nel 1901 in un libretto che dice di cose di casa nostra. Quando la Chiesa si allargò poi alle dimensioni attuali, il gruppo marmoreo viene spostato nel lato orientale, quello che dà sulla via Napoli, dove decora la porta contrassegnata dal numero civico 65. Là, una volta si accalcavano non pochi indigenti cui le monache distribuivano del cibo; ora credo che l’apertura serva per uscire a piedi dal parcheggio sottostante: i segni dei tempi.
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