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E' frazione (del capoluogo La Spezia, naturalmente). In altre parole data anche la frequenza dei mezzi pubblici di trasporto e la nuova strada asfaltata, oramai Biassa è in città. Dista dal centro 4 chilometri e 800 metri, cioè 10 minuti d'auto (senza forzare il motore).Ancora trent'anni fà, invece, Biassa era tipico paese: al punto che siccome, allora, usavano le passaggiate scolastiche i maestri ne facevano puntuale menzione nelle lettere al sig. direttore didattico con oggetto "
Gita scolastica a Biassa". Il sig.direttore didattico dava il nulla-osta e le scolaresche partivano di buon mattino, con merenda in saccoccia, e salivano a Biassa. Poi l'indomani, nel diario d'obbligo, scrivevano che Biassa è ameno paese, con aria buona, vino ottimo, pastorizia, boschi e macchioni di "more" dolcissime. Il maestro ci ha detto - Le "more sono buone ma attenti a non pungervi con i rovi -. Noi ne abiamo mangiate tante e ci siamo divertiti. Oggi Biassa è scomparsa dagli itinerari scolastici, forse sono scomparsi anche la pastorizia e i macchioni di "more" dolcissime. Restano: il vino ottimo e confuse leggende. Si dice che una volta Biassa fosse covo di pirati, o ex pirati, che avevano preferito la viticultura alla navigazione di corsa. La storia è molto più precisa. Il paese deriva il nome dall'illustre famiglia dei Biassa che dettero alle vicende italiane generali e ammiragli. Per esempio Baldassare Biassa che fu generale e ammiraglio: come generale comandò un esercito di fanti genovesi contro i fiorentini: come ammiraglio alzò bandiera sulle navi di Papa Giulio II. Il generalammiraglio ha oggi una sua via nel centro della vecchia Spezia, stretta e corta ma assai frequentata. I Signori di Biassa erano molto ospitali: e così accolsero in casa, per qualche tempo, Caterina de' Medici, Papa Clemente VII, Papa Paolo III e l'imperatore Carlo V di Spagna. Carlo V diceva sempre "nel mio impero non tramonta mai il sole" e i Biassei, seccati da tanto orgoglio, battezzarono una zona dei loro vigneti "Tramonti", che così si chiama ancora oggi: il sole vi tramonta in maniera particolarmente bella. I Genovesi quando, venuto il loro turno, passarono da Biassa la chiamarono Biascia perché la gente del posto parlava un dialetto che era follia tentare di capire. Infatti la Befana era "Pascheta", il silenzio "Saturno", il nonno "Dadè, il figlio più piccolo "Daradèo", la pioggerella "Bevezina", il terrazzo "Lobbia" (e magari il cappello erano capaci di chiamarlo "Terrazzo"). Il bello è che tra tante parole ermetiche ne corevano altre chiarissime, di pura fonte toscana: e il tavolo era "desco" e il boccale di birra "pinta". A complicare le cose, già abbastanza complicate, succedeva inoltre che i Biassei, non paghi del loro nome e cognome di battesimo, si davano sconcertanti soprannomi. Un uomo, per esempio, poteva essere: Baccinèo, Balanèo, Trombòn, Begugia,Lasagnin, Topo,Ciceta, Minin, Minotto. E la donna: Cutèle, Pinulina, Paina, Boccona, Metronèla, Bigheta, Pisaneta, Canèta, Capraia, Zigaìna. Tutto questo accadeva, ancora una quarantina d'anni fa, a soli quattro chilometri dal Comune di Spezia(dal quale, amministrativamente, Biassa dipendeva). I poveri esattori del Comune, quando salivano a Biassa alla ricerca di qualcuno, tornavano sconsolati a mani vuote e dicevano "Ne mandème ciù a Biasa. La ghè da diventae mati" (non mandatemi più a Biassa:c'è da diventare matti).
...dalla testata giornalistica de "Il Telegrafo" del 2/3/66.