MONTEMARCELLO

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Versione delle 19:48, 24 ott 2011, autore: Paguro Bernardo (Discussione | contributi)
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Il nome Mons Marcelli, ossia il monte di Marcello, deve il proprio nome al fatto di trovarsi in posizione sopraelevata rispetto alla costa e al console romano Claudio Marcello che nel 155 a.C. sconfisse i Liguri Apuani. La Storia 963, il castrum de Amelia è citato per la prima volta in un diploma imperiale con cui l’imperatore Ottone I assegna al vescovo di Luni la giurisdizione sul castello, il quale quindi dovrebbe essere antecedente a tale data. 1121, l’imperatore Enrico VI prende sotto la sua protezione il castello, riconfermando legittimità e continuità al possesso vescovile. 1286, compare per la prima volta il nome Mons Marcelli in un documento in cui il vescovo di Luni Enrico ordina di costruire opere di difesa sul promontorio, tra cui la torre circolare di Ameglia. 1320, il vescovo di Luni affida il feudo a Castruccio Castracani, signore di Lucca; questi nel 1327 costituisce la Podesteria di Ameglia, comprendente anche il villaggio di Montemarcello, e la unisce alla Provincia di Luni; l’anno seguente nomine di Montemarcello partecipano al primo Parlamento, che si svolge all’aperto, in località Zanego. 1460, l’occupazione di Francesco Sforza porta un po’ di tranquillità in queste terre contese da Vescovi, Malaspina e Sarzanesi e immischiate nelle rivalità tra Lucca, Pisa, Genova, Firenze; nel 1474 iniziano i lavori per la costruzione della chiesa e a questa data si può far risalire la nascita del borgo; nel 1485 il Senato di Genova concede a Montemarcello il permesso di costruire le mura; due anni dopo il borgo viene incendiato dai Fiorentini in guerra contro Genova. 1683, è completata la nuova chiesa, iniziata nel 1643 sui resti della vecchia. 1799, il priore annota il versamento di “filippi 4” perché la popolazione sia risparmiata dalle truppe austriache. 1817, annata funesta: straripa il fiume Magra e si registrano morti per fame, a causa della siccità che ha compromesso i raccolti. 1944, aerei alleati colpiscono il centro storico causando danni e vittime tra la popolazione. 1985, è istituito il Parco Regionale di Montemarcello – Magra. Un borgo tra fiume e mare Da Bocca di Magra, piccolo borgo posto alla foce del fiume, già rifugio estivo di patrizi romani, come ci tramanda Persio Aulo Flacco e testimoniano i resti di una villa del periodo imperiale, si intraprende il cammino alla scoperta di questo lembo di terra ligure al confine con la Toscana. Ci si ritrova così sulle tracce del “ghibellin fuggiasco”, Dante Alighieri, che al Monastero del Corvo, fondato dai frati benedettini nel 1176, andò a cercare pace nel 1306; quello stesso monastero che ospita, in una piccola cappella, un raro capolavoro ligneo di arte romanica: la Santa Croce. Secondo una cronaca dell’epoca, Dante avrebbe lasciato a un frate il manoscritto dell’Inferno, affinché lo recapitasse a Uguccione della Faggiola. Ci si inerpica quindi per una vecchia via militare che, tra i profumi inebrianti del timo, del mirto e dell’elicriso, fiancheggiando i resti di una batteria costiera conduce a Punta Bianca, le cui candide rocce, antiche cave romane, si fondono con la spuma del mare in tempesta.

Da lì, attraverso boschi di leccio e corbezzoli si giunge a Montemarcello. Si accede al borgo passando sotto la porta d’ingresso quattrocentesca. Sul passo di guardia, volgendo lo sguardo a nord, l’occhio viene catturato dall’antica torre, oggi residenza privata. Percorrendo le vie interne, suggestive per le arcate in pietra che ogni tanto le interrompono, si è colpiti dalla loro struttura ad angolo retto che riporta alla mente la struttura dell’accampamento romano. Nella quattrocentesca Parrocchiale di San Pietro, ampliata nelle forme attuali nel Seicento, sono conservate alcune opere di valore artistico, come il trittico in marmo del 1529 attribuito a Domenico Gar e il trittico ligneo del XIV secolo. Molto piacevole la piazzetta per l’atmosfera ligure che sprigiona, dovuta all’armonia degli elementi architettonici combinati tra loro.

Uscendo dal borgo a sud, si notano i resti di una fortificazione militare che domina la costa sino a Livorno. Sul lato ovest si snoda un sentiero che conduce al belvedere di Punta Corvo (266 m s.l.m.), in cui l’azzurro del mare si fonde con il verde dei pini d’Aleppo. “Dal Capo Corvo ricco di viburni / i pini vedess’io della Palmaria /che col lutto dei marmi suoi notturni /sta solitaria”, scriveva Gabriele D’Annunzio nelle Laudi.

Lasciando Montemarcello dal lato est e percorrendo un sentiero tra boschi di castagni e roverelle, si giunge ad Ameglia, “che vince l’ombra fonda /che qui si accampa /molto prima che altrove faccia sera ” – altra citazione d’obbligo da una poesia di Paolo Bertolani. Anche qui, se si esclude la zona moderna, è festa per gli occhi: le strette vie si intersecano quasi a formare un labirinto e le case, abbarbicate le une alle altre, si fondono come in unico blocco difensivo intorno al castello (XIII secolo, ora sede comunale) di cui è parte la torre rotonda (X-XI secolo) recentemente restaurata. Nella parte bassa del paese, l’antica Pieve di San Vincenzo conserva al suo interno un pregevole trittico marmoreo del XVI secolo. Si torna quindi al fiume, la Magra, “che, per cammin corto, /parte lo Genovese dal Toscano”, come scrive Dante (Paradiso, IX, 89-90).

Il prodotto del borgo I fichi eccezionali, chiamati “binèi”, erano anche una fonte di reddito per il borgo, come l’olio d’oliva e il formaggio pecorino conservato sott’olio in una piccola giara fino a farlo diventare di colore rossiccio. Purtroppo, l’abbandono della campagna ha reso rari e preziosi questi prodotti. Il piatto del borgo Benché in collina, Montemarcello a tavola porta il mare. Il polpo, cucinato lesso con patate, è il frutto della pesca a Punta Corvo, la spiaggia sotto il borgo. Anche lo stoccafisso appartiene alla tradizione locale. Piatto di terra sono invece i “tagiain a menestron”, una minestra di verdure miste di stagione a cui si aggiunge la pasta fatta in casa. Nel periodo estivo la minestra viene insaporita a fine cottura con foglie di basilico fresco mentre d’inverno si arricchisce con legumi secchi. Il vino della zona è il bianco Doc Vermentino dei Colli di Luni.

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