CARAN

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L’Antica Osteria da Caran era alla Spezia un’istituzione già prima di diventarlo formalmente e giuridicamente mediante il proprio inserimento nel patrimonio civico. E lo era per la sua rispettabile età di centotrenta-centoquarant’anni, ma soprattutto per costituire un punto d’incontro, di ritrovo, d’amicizia degli spezzini ricchi e poveri, aborigeni ed allogeni, festaioli e non, che la sceglievano quale meta fuori porta, eppure incorporata nella città, per le passeggiate delle famiglie nei giorni di vacanza. Lo era inoltre perché, pur offrendo ai frequentatori un’atmosfera di serenità, di pausa e di divertimentto, non era soggetta per così dire ai morsi della tarantola carnevalesca al pari d’altre frazioni, in ispecie Pegazzano. Anzi non aveva nemmeno accentuata sensibilità per il carnevale. S’accendeva invece d’entusiasmo in occasione della ricorrenza di San Bernardo, patrono della Chiappa, espressione d’una teologia monastica e quindi contemplativa, distaccata dal mondo. Intendiamoci bene: andare da Caran non voleva dire in alcun modo farsi monaci, ma ricercare un mezzo di distrazione e di riposo più tranquillo, più raccolto, meno frastornante d’altrove. Ecco di conseguenza le attività in voga da Caran: i tranquilli conversari, una soddisfacente partita a carte, il distensivo gioco delle bocce, tanto praticato che la “Bocciofila Chiappa”, attiva ancor oggi, nacque proprio in quell’orto.

L’edificio (ancora superstite) era una casa colonica di quello che, qui da noi, poteva considerarsi un latifondo. Apparteneva ai conti Massa Carrani (donde il nome spezzinizzato Caran per renderlo istintivamente sprugolino e non certo in conseguenza della massima latina “nomen accipere in omen”, ritenere il nome di buom augurio, ancorché azzeccata). I Carrani avevano moltissimi terreni a partire da Porta Genova nel versante ovest, cioè in direzione Rebocco, e possedevano altresì una bella villa sulla collina di Gaggiola andata completamente distrutta nella seconda guerra mondiale. Nelle capienti cantine della fattoria i mezzadri smerciavano le cospicue quantità del vino padronale compreso il molto pregiato rosso di Ortonovo, proveniente dalle terre dei Bianchi imparentati con i Massa Carrani attraverso il matrimonio della loro ultima erede Enrica con l’avvocato Agostino Bianchi. Per vino padronale ha comunque da intendersi sia quello prodotto al Caran, sia quello che veniva dagli altri otto o nove poderi mezzadrili dei medesimi proprietari. Un mare di vino! I coloni dei Caran erano a Porta Genova i Cozzani, che da generazioni avevano esplicato la loro mansione di fiducia e che ad un certo momento reputarono di mettere a disposizione della sempre più numerosa clientela anche degli “smorzafame”, cibi pronti o di rapida preparazione come gli spezzinissimi “matafame”, frittelle di farina larghe e poco spesse. In altre parole, un servizio d’osteria suggerito in pratica dal fatto che il vino non era solamente spacciato a damigiane, a fiaschi od in bottiglie, ma anche alla spicciolata, a quartini ed a bicchieri.

Non sapremmo dire se si trattò d’una promozione ragionata, amministrativamente regolare o d’una decisione assunta così, alla buona, come allora accadeva sovente pur senza le aggravanti della malafede o dell’interesse privato. D’altronde i registratori di cassa erano ancora negli spazi siderali! E l’imprendimento durò a lungo, per interi lustri, fino a quando subentrarono nella gestione del Caran Luigi Cozzani, la moglie ed i loro otto figli otto, cinque maschi (Andrea, Gaetano, Eugenio, Aurelio ed Ernesto) e tre femmine (Enrica, Erminia ed Elvira) tutti o quasi in qualche modo coinvolti nel lavoro dell’esercizio. Il solo Ernesto lavorava fuori come pastore. In quella fase, sul finire degli anni Quaranta del Novecento, venne avviata la normale attività dell’osteria con cucina, destinata a slittare quasi inavvertitamente in quella di trattoria secondo uno schema comune e consueto nel settore. Il menu era vario, ma i piatti più numerosi e maggiormente sollecitati erano quelli sprugolini tradizionali come per esempio le torte (di riso e pasqualina), fave fresche e formaggio pecorino o salame, sgabei, muscoli ripieni, sarde acciughe e boghe marinate, ravioli di carne e di borragini, frittelle di baccalà, stoccafisso in umido, oltre l’immancabile mescciüa. A suo proposito va riferita un’opinione particolare, attualmente accantonata o meglio non considerata dai gestori ma corrente al tempo dei Cozzani, secondo la quale la portata per antonomasia della cucina spezzina non sarebbe d’origine locale. La mescciüa, che di spezzino avrebbe soltanto il nome e la fama, non sarebbe nata in città, né a Biassa, né alla Chiappa, ma in porto, a bordo di chissà quali navi mercantili. Sarebbe venuta fuori dall’utilizzazione da parte degli equipaggi, e specificamente dei “camalli” addetti allo scarico, di avanzi di mercanzia (ceci, fagioli bianchi secchi e grano farro) rimasti nelle stive.

Imbroccata la digressione, conviene altresì aggiungere un’ulteriore versione pertinente l’origine della ricetta della mescciüa, che sarebbe stata inventata ed adottata quasi per caso sui monti delle Grazie, nel portovenerese, dove s’erano rifugiati come di consueto gli abitanti in occasione d’una delle solite incursioni corsare. In ogni modo, una volta riportate le suddette opinioni per completezza d’informazione, i pregi gastronomici e non della mescciüa si devono onestamente riconoscere indipendentemente dal fatto d’essere servita a lungo come rimedio contro la fame della povera gente.

Aurelio Cozzani alla macchina del caffè di quei tempi(Collezione Cozzani)

I molti clienti, che frequentavano il Caran con costante continuità, erano in prevalenza persone del popolo minuto, quelle che oggi si definirebbero, inglesizzando, “nip” (not important persons), ma non mancavano i “vip”. Costoro avevano la consuetudine di prenotare colazioni e pranzi, sovente indicando anche che cosa desideravano mangiare, e la cucina di Caran allestiva tutto con solerzia e con precisione. La lunga gestione dei Cozzani, che abitavano nelle stanze sovrastanti trattoria e cantine della vetusta casa colonica in inesorabile decadenza, perdurò fino alla seconda metà del secolo passato – intorno agli anni 1965-70 – allorché i superstiti della famiglia gettarono la spugna. Li sostituirono Giuseppe Vezzoli e la moglie, ma restarono poco per un complesso di motivi tra i quali, predominante, l’avvertita esigenza di opere di restauro, di riforma e di modernizzazione considerevolmente onerose sotto il profilo economico eppure indilazionabili non solo dal punto di vista strutturale ed architettonico, ma pure di quello della salvaguardia d’un polo culturale, d’un centro di considerevole importanza sociale e con riflessi innegabili sulla spezzinità, d’una mecca delle tradizioni locali. Un centro, per di più, situato in una zona di notevoli trasformazioni, in espasione ed in sviluppo urbanistico sebbene ancora lontanissima dal poter immaginare la “rotatoria” tra piazzale Ferro, il Caran ed il Parco della Rimembranza, un aborto (e non il solo) dell’odierna viabilità cittadina. Andò così profilandosi la proposta politica dell’esproprio diciamo di baracca e burattini, cioè dell’edificio del Caran e della porzione di terreno direttamente pertinente ad esso. La proposta venne accolta e realizzata dal Comune intorno agli anni Settanta sicché la proprietà passò dai privati alla pubblica amministrazione. I completi lavori di ristrutturazione suddivisero in tre porzioni l’impianto: al piano terra il locale trattoria, ove ai Vezzoli subentrarono Renzo Toracca con la moglie Giovanna ed il figlio Enrico; al piano rialzato un’abitazione lasciata in affitto vita natural durante agli ultimi dei Cozzani (pochi ed oggi quasi centenari) sul lato prospiciente il Rebocco e su quello della via Genova la sede della Circoscrizione. I Toracca portarono avanti l’attività fino ai primissimi anni Novanta e sono poi succeduti loro due giovani soci, Fabrizio Pomodoro e Roberto Mazzei, i gestori attuali.

Il nuovo “look” del vasto spazio all’aperto di Caran dopo la ristrutturazione del locale passato al Comune Il Caran d’oggi cerca di conservare e di valorizzare al massimo le linee d’una volta, ma nei limiti – e non potrebbe essere altrimenti – imposti dalle profonde modificazioni in atto nella comunità sprugolina come nella società in genere. Così, pur chiamandosi Antica Osteria da Caran, punta al servizio di pizzeria, ma propone agli avventori – in prevalenza giovani – anche i cibi spezzini di un tempo presenti nel voluminoso menu che unisce l’utile al dilettevole. Le portate registrate nella carta sono infatti incorniciate entro la silloge d’una buona trentina d’inserzioni pubblicitarie. Business is business (gli affari sono affari.

FONTE: OSTERIE DELLA SPEZIA