IL MONASTERO OLIVETANO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

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Il braccio occidentale del golfo della Spezia, sulla cui estremità sorge Porto Venere, forma mia penisola caratterizzata da una configurazione montuosa, con una falesia alta sul lato rivolto verso il mare aperto e coste degradanti e frastagliate nel lato opposto. Al riparo dalle libecciate, il versante interno si articola in promontori che scendono dolcemente fino al mare creando tranquille insenature, tra cui quelle delle Grazie e del Varignano, i cui seni furono dapprima sperimentati come semplici approdi, destinati ad evolvere in insediamenti stabili, capisaldi di rotte marittime anche nei periodi storici di crisi economica e declino delle istituzioni. Sulle vicende di questo territorio dalla metà del XI secolo esercitò un’influenza decisiva la fondazione sull’isola del Tino del monastero di San Venerio, che ebbe un grandissimo prestigio e ricevette numerose donazioni di beni e terreni. Tra questi risulta attestato il fundus Vernianus, corrispondente all’attuale sito di Varignano, nei pressi del quale i frati del Tino stabilirono la propria stazione sulla terraferma, rifugio in caso di avversità. Sul primo insediamento, di consistenza incerta, furono costruiti al volgere del XV secolo per iniziativa dei monaci dell’ordine olivetano il convento e la chiesa di Santa Maria delle Grazie, in un luogo all’epoca solitario e destinato a rimanere tale per molto tempo. Il borgo delle Grazie non è infatti documentato nella cartografia fino alla seconda metà del XVIII secolo mentre la prima e tuttora unica strada carrozzabile che raggiunge il monastero fu realizzata tra il 1805 ed il 1814. Al convento si giungeva quindi soprattutto per mare e l’importanza dell’approdo delle Grazie è confermata in descrizioni geografiche che nominano esplicitamente il monastero e la cala antistante reputata un ottimo riparo per le imbarcazioni. Lo stesso cantiere per l'edificazione del complesso richiese sicuramente la costruzione di uno scalo di servizio e di un piccolo molo per l'approvvigionamento dei materiali che non potevano essere ottenuti localmente, evidenze architettoniche emerse durante i recenti lavori di restauro del monumento hanno dimostrato che un nucleo edificato precedente all'attuale si trovava esattamente alla quota della spiaggia. Nel suo stretto rapporto con il mare, il monastero delle Grazie conferma di fatto la specificità delle fondazioni olivetane liguri, tutte insediate presso la costa, a partire dalla prima, ossia San Gerolamo di Quarto presso Genova nel 1388, a cui seguono Santa Maria di Finalpia presso Savona alla fine del XV secolo, Santo Stefano di Genova nel 1529, per finire con San Prospero di Camogli nel 1888. E sono proprio gli olivetani in Liguria che conservano un documento di straordinario rilievo dal punto di vista delle tradizioni marinare, ossia Il manoscritto dell'abbazia di Finalpia, risalente ai primi decenni del XVII secolo e pubblicato nel 1998 da F Ciciliot. Il testo, che tratta di veleria, sartiame, tecniche costruttive degli scafi, nonché della disciplina da tenersi a bordo, costituisce un manuale caratterizzato da efficaci illustrazioni, da un linguaggio semplice e da un approccio didattico, tale da aver stimolato l’ipotesi di una scuola di nautica retta dagli olivetani. Di un simile retaggio non si ha invero alcuna traccia per l'abbazia delle Grazie, il cui archivio finì disperso nel 1798, quando la nuova Repubblica Democratica Ligure, ispirata dalla Francia repubblicana, decreto la soppressione di nume- rosi conventi. I frati ebbero sole ventiquattro ore per lasciare il monastero sotto il controllo di militari francesi che, a quanto si disse, fecero sì che i più interessanti documenti del convento fossero inviati a Marsiglia, probabilmente prima tappa alla volta di Parigi. Unica, laconica traccia scritta di attività marinaresca riguardante il monastero delle Grazie sono le attestazioni di pagamenti al barcaiolo che traghettava i monaci verso le località rivierasche del golfo. Anche in questo aspetto si coglie la perdita d’identità che connota la storia del convento successiva alla soppressione del 1798: dapprima occupato dagli abitanti del luogo, il complesso fu in parte requisito dai militari; dal 1857 il comando della squadra americana di stazione nel Mediterraneo ottenne dal governo piemontese di usare il chiostro inferiore come magazzino, per restituirlo nel 1864 alla Marina italiana che ne aveva fatto richiesta. Nel corso del XIX secolo il monastero, divenuto proprietà dello Stato, passò dunque sotto la gestione della Regia Marina, del Genio Militare e poi al Demanio, che decise infine di mettere l’immobile a disposizione del Comune di Porto Venere, la cui amministrazione non comprese l’importanza del complesso e rifiutò la proposta, seguendo l’esempio del parroco delle Grazie al quale l’ex monastero era stato offerto gratuitamente. Nei primi del Novecento gli edifici monastici furono messi all'asta pubblica ed acquistati per una somma irrisoria da un privato, il quale fece eseguire una serie di adattamenti per ricavare all’interno dei fabbricati alcune abitazioni. Fu allora che gli ambienti di maggiori dimensioni, talora già frazionati dagli occupanti, furono ulteriormente suddivisi, in alcuni casi la notevole altezza interna di alcuni locali fu sfruttata per ricavare piani intermedi a cui furono fatte corrispondere in facciata nuove aperture non coerenti con quelle originarie. Alcune parti, quali ad esempio la zona della presunta biblioteca o infermeria, furono demolite o, se già crolla- te, non furono ricostruite. Mentre la fisionomia architettonica del monumento veniva manomessa, ossia durante i lavori di trasformazione in corso, nel 1902 furono casualmente riscoperti nell’ex refettorio gli affreschi tardo-quattrocentesco eseguiti da Nicolò Corso, del tutto dimenticati in seguito alla soppressione ed il cui ritrovamento suscitò grande sorpresa ed interesse. Fin dalle prime descrizioni gli affreschi furono giudicati assai pregevoli e, in linea con le tendenze dell’epoca, si propose inizialmente di staccarli dalle murature per meglio conservarli altrove, il che avrebbe costituito un’ulteriore indebolimento dell’identità del monastero, Fortunatamente, il proprietario dell”immobile richiese per consentire la rimozione delle opere una cifra che parve eccessiva e gli affreschi rimasero, sebbene negletti, in loco. La prima proposta di restauro contestuale degli affreschi e del monastero comparve in articolo pubblicato nel 1934 sul quotidiano locale “Il Telegrafo” nel quale si riconosceva che il complesso "per la sua antichità e maestosa mole, per le relazioni storiche avute con insigni personaggi, per i suoi pregevolissimi antichi affreschi, merita particolarissimo riguardo da parte delle Autorità preposte alla tutela e conservazione dei monumenti.” Ma i tempi non erano ancora maturi. Il lungo percorso di riscoperta degli affreschi e, tramite essi, del monastero ebbe una tappa fondamentale nell’anno 1966 quando la sala dell'ex refettorio, ancora usata come abitazione, fu acquistata dal Comune di Porto Venere, dal Comune e dalla Provincia della Spezia con il proposito di restaurare le opere, sulle quali si iniziò di fatto ad intervenire soltanto nel 1977. Il restauro ebbe inizio dalla zona in cui è rappresentata la Crocifissione, nella quale si provvide alla demolizione della parete che aveva diviso a metà il lunettone affrescato; le superfici furono consolidate, le lacune furono colmate e, in alcuni punti, “abbassate” ad acquerello secondo la tecnica delle integrazioni mimetiche. l medesimi enti che avevano acquisito l'ex refettorio organizzarono nel 1986 una mostra per rendere noti al pubblico gli affreschi recuperati e richiamare l’attenzione sul significato del monastero di Santa Maria delle Grazie. l'impostazione critica della mostra, che ebbe un interesse esplicito e prevalente per la pittura, fu basata sul collegamento tra l'attività di Nicolò Corso con le contemporanee vicende artistiche in Liguria e Lombardia. Compiendo un'analoga operazione critica, fu interpretato anche il complesso monumentale del monastero, analizzato nelle sue caratteristiche architettoniche in rapporto alle relative matrici formali ed agli altri esempi di architettura olivetana in Liguria. Erano occorsi più di ottant’anni di esperienze, dal ritrovamento degli affreschi di Nicolò Corso nel 1902 all'evento culturale del 1986, affinché giungessero a maturazione i presupposti per il pieno riconoscimento dell'identità del monumento. A compimento di questo lungo periodo di elaborazione si era compreso che per la tutela del complesso era indispensabile - prima ancora della conservazione dei materiali e delle strutture - riportare alla luce l'immagine originale del monastero, fisicamente sempre presente in riva al seno delle Grazie, ma per quasi due secoli nascosto dalla nebbia fittissima dell’oblio.

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