LA "LUMASSA" SUONÒ

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Fonte: Cara Spezia vol. I
Fonte: Cara Spezia vol. I
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Versione delle 15:39, 25 set 2011

CASTELLO LERICI 01.jpg

Con un lugubre muggito, che sembrava quasi confondersi con gli ululati dei lupi che la leggenda popolare rammenta abitanti nei boschi dei crinalì, la "lumassa" segnalava l'arrivo delle navi pirate saracene. La "lumassa" era una sorta di buccina di legno che veniva suonata dalle alture prospicienti il mare per avvisare le popolazioni rivierasche e consentire loro di rifugiarsi in fretta e furia dove era possibile. Il termine "lumassa" è di difficile etimologia ma nulla vieta di pensare che derivasse da lumaca, associata all'idea della chiocciola, ovverosia la conchiglia sempre usata dalle genti di mare come strumento di segnalazione. Il termine "lumassa" potrebbe, un po' fantasiosamente, derivare dal verbo dialettale "lumare", che significa osservare attentamente e, in caso, avvisare di un constatato pericolo. Gli avvistamenti erano anche segnalati con falò la notte e fumate di giorno. Questa esigenza purtroppo non fu soltanto dei cosidetti "secoli bui" prima del Mille e prima che l'Alto Tirreno fosse "ripulito" dai pirati saraceni. A Nervi sulla scogliera, lungo la passeggiata a mare, esiste una robusta costruzione militare, fornita di quattro torrioni agli spigoli, costruita nel XVI secolo, che veniva chiamata "Torre del fieno". ll nome derivava appunto dall'uso di segnalare il pericolo con un più o meno grande falò acceso, sopra una spianata o terrazzo: il fieno bagnato bruciava sollevando alte fumate visibili a grandi distanze. Le leggende parlano di villaggi e chiese distrutte, di popolazioni che, al suono delle campagne, fuggivano nascondendo le immagini sacre ed i pochi averi e cercando scampo nelle zone più impervie.

Nervi - La Torre del Fieno

La tradizione parla ancora di ipotetici tesori nascosti, per lo più pentole piene di monete d'oro e d'argento, celate in grotte, seppellite o murate nelle case. Nell'849 una flotta moresca aveva saccheggiato Luni e non aveva incontrato seria resistenza "chi era potuto sfuggire alle incursioni, alle armi, alla fame, agli stenti, si ero nascosto nei boschi o nelle gole dei monti costituendo minuscoli aggregati di povere cose coloniche". ln questa stessa prospettiva dobbiamo vedere la storia delle Cinque Terre. Dietro il crinale del Colle del Telegrafo sorge il paese di Biassa e su uno sperone verso La Spezia esistono i ruderi di un leggendario "Castello dell'oro", così chiamato per un presunto tesoro ancora nascosto nelle sue fondamenta. Tra il golfo ed i pirati (siano questi saraceni, berberi, tunisini o algerini) c'è ancora un conto in sospeso: il ricordo di un disastro navale che doveva segnare la fine delle scorrerie a metà del XVI secolo. Due fratelli di Mitilene, famosi pirati, si erano stabiliti nell'Isola di Gerba in Tunisia; Hornk (1473-1518) conquistò nel 1516 Algeri fondando un proprio stato ma fu ucciso dalle truppe spagnole; suo fratello Khair-ed-din (1465-1546) gli successe nel dominio di Algeri. A quei fratelli, soprannominati Barbarossa, Solimano II affidò il comando della flotta turca. Khair terrorizzò il Mediterraneo, devastò le coste italiane, conquistò Tunisi e Biserta che nel frattempo si erano ribellate. Venuto a guerra con Carlo V, occupò le Cicladi ed infine, alleatosi con Francesco I, conquistò per suo conto Nizza. Per mettere fine a questo flagello Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, decise di riunire una flotta imponente, una vera spedizione punitiva che mettesse in ginocchio la potenza navale turca. L'appuntamento delle flotte alleate fu fissato nel golfo della Spezia: correva l'anno 1541. Le venti galee genovesi erano guidate da Andrea Doria, a queste si aggiungevano dodici navi napoletane, dieci siciliane, sette pontifice, quattro dei Cavalieri di Malta, oltre a duecento legni da trasporto ed a un numero imprecisato di "galeotte". La spedizione fu sfortunata e ne è rimasta ben poca traccia nella storia, piuttosto sbrigativa con le imprese disgraziate. Pochi anni, dopo il 10 giugno 1565, come ricorda una lapide murata alla Spezia al primo piano della casa al numero 137 di via Sarzana, pirati rapivano "due donne e un homo e una figlio di sette anni". Fermatisi al Tino alzarono bandiera "per fare riscatto". Ma, siccome chiedevano 500 scudi ed i rapiti erano poverissimi, nessuno li riscattò e non se ne seppe più nulla. Solo più tardi, nel 1571 con la battaglia di Lepanto, la cristianità riuscì a sfatare la leggenda dell'invincibiità turca e riuscì ad assicurare un minimo di libertà di navigazione e di sicurezza alle coste. Sicurezza che non fu mai completa. Ancora all'inizio dell'800 venivano rapite donne per gli harem dell'oriente. Nel Santuario di Montenero a Livorno sono conservate come ex voto babbucce orientali di una fanciulla rapita e riuscita fortunosamente a tornare a casa.

Fonte: Cara Spezia vol. I