PERCY BYSSHE SHELLEY

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Quasi un paio di secoli fa il grande poeta inglese Percy Bysshe Shelley giungeva a Milano con la moglie Mary, i due suoi figlioletti , William di due Anni e Clara di sei mesi, con Claire Clairmont , sorellastra di Mary, che aveva con sé la piccola Allegra, nata da una sua relazione con il poeta Lord Byron, con la nurse svizzera e la domestica inglese, in fuga dalla sua Inghilterra, che lo biasimava per le sue vedute rivoluzionarie e con la certezza di poter trovare nel nostro paese un clima più “libero” e anche più salubre per la sua precaria salute fisica.
La salute, però, era piuttosto un pretesto e di fatto i veri motivi di questo suo trasferimento erano ben altri. Egli, che si era dimostrato insofferente e ribelle e che si era dichiarato “ateo di professione” in un suo mordace libello, era incorso nelle ire del nobile padre che non gli perdonò mai la sua condotta anticonformista. Inoltre la sua dichiarazione di ateismo ed il suo mordace libello dal titolo “imprudente e sfacciato” di “Necessità dell’ateismo” gli era valsa l’espulsione dall’Università di Oxford.
Lui, uno dei massimi poeti romantici e come tale profondamene pervaso di un grande idealismo, lui che vedeva Dio in ogni cosa, un Dio non distante dall’uomo ma con lui in marcia verso l’evoluzione. Lui che nella parola cercava il magico potere di raggiungere l’invisibile, il mistero celato nelle cose! Magnifico poeta, che visse solo 32 anni! Ma il suo Prometeo liberato e la Maschera dell’anarchia e l’Ode al vento di Ponente e A un’allodola…. lo resero immortale e lo innalzarono a guida di alcuni dei più importanti poeti vittoriani, dei Preraffaelliti.... e, a volte, di alcuni dei nostri pensieri!
E’ anche vero che le sue teorie sul matrimonio, ch’egli considerava un intralcio al raggiungimento della felicità, non solo scandalizzavano una società irrigidita nei suoi pregiudizi ma, cosa più grave, spinsero al suicidio la sua prima giovanissima moglie Harriet Westbrook, ch’egli aveva sposato dopo una fuga d’amore nonostante le sue idee e che presto aveva poi abbandonato per fuggire con Mary Wollstonecraft, figlia del filosofo William Godwin, autrice del romanzo Frankestein. Avendo poi ereditato dal nonno una rendita annua che gli consentiva di poter vivere più che dignitosamente e senza i debiti che aveva contratto in Inghilterra, si stabilì in una villa sul lago di Como.
Qui Shelley invitò il suo grande amico Byron, che non volendo incontrare Claire, preferì restare a Venezia, dove soggiornava e da dove invece mandò a prendere la piccola Allegra. Così, seguendo quell’impulso che voleva fargli trovare in Italia la “vita”, Shilley decise di dirigersi più a sud e si trasferì a Pisa.
Pisa gli apparve spettrale, vuota e senza vita, pertanto si diresse verso Livorno, dove viveva una piccola comunità di Inglesi liberali e di esponenti del movimento femminista, ma anche Livorno, a parte la compagnia dei suoi connazionali, non gli sembrò a sé congeniale. Allora cercò casa a Bagni di Lucca e vi soggiornò per un tempo breve ma sereno, confortato dal benessere delle acque termali e allietato da buone letture: Ariosto, Euripide, Sofocle…. Ma un’improvvisa chiamata che li informava che la piccola Allegra era ammalata li convinse a partire per Venezia. Byron, ostinato a non voler incontrare Claire, mise a disposizione degli amici la sua villa di Este, vicino Padova. Mary si mosse da Bagni con la piccola Clara, che era ammalata. Il viaggio estenuante aggravò le condizioni di salute della piccola. Per di più gli Shelley decisero di fare una visita a Byron e ciò fu fatale per la salute della bambina, che morì in albergo a Venezia.
Ai primi di Novembre gli Shelley lasciarono Este, si recarono a Ferrara, a Bologna, infine raggiunsero Roma. L’idea di Percy era quella di raggiungere Napoli e partì da solo in cerca di una sistemazione. Si sistemò al numero 250 della Riviera di Chiaia, dove poco dopo fu raggiunto dalla famiglia. Ma pur nella bellezza del paesaggio gli animi erano tristi e i cuori pieni di malinconia ed anche la salute precaria. Il poeta visitava con curioso interesse i luoghi del Golfo di Napoli, ma i suoi disturbi renali si andavano acuendo; durante un’escursione sul Vesuvio Shelley fu preso da dolori atroci e dovette essere accompagnato al rifugio. Dopo una decina di giorni si recarono a Pompei, che li affascinò con le sue silenziose rovine, ma il brontolio lontano del vulcano parve al poeta come il suono di tamburi di morte rivolto alla città sepolta.
I templi di Paestum, invece, gli rivelarono la bellezza e la grandezza insuperabile dell’arte greca. Nemmeno quei giorni furono felici per il poeta.
Nacque in quel periodo la piccola Elena Adelaide, cui Shelley diede il suo nome ma intorno alla quale vi è sempre stato un mistero. Sembra indubbia la paternità ma meno indubbia la maternità. Certo è che per questa bambina, che era stata affidata a genitori adottivi, i coniugi Shelley furono ricattati dal domestico italiano Paolo Foggi, che poi sposò la nurse svizzera Elise e che fu necessario passare a vie legali. Che la piccola sia stata di Elise o di Claire?.....Nel frattempo gli Shelley ripresero il loro viaggio in Italia “alla ricerca della felicità” e si stabilirono a Roma, prima in via del Corso poi in via Sistina. Qui il poeta cominciò a riprendersi e tra le numerose visite ai monumenti e ai luoghi più affascinanti della città, riuscì a riprendere le sue letture; in questo periodo riuscì a completare il “Prometeo liberato”. Riscopriva il fascino del Rinascimento e cominciava a pensare di scrivere una tragedia ispirata al personaggio di Beatrice Cenci, quando una nuova tragedia si abbatté sugli Shelley: il piccolo Willliam si ammalò.
Dalla diagnosi medica non risultò nulla di grave e infatti il piccolo sembrava guarire, ma una nuova inaspettata ricaduta pose fine alla sua giovane vita. Per tre giorni e tre notti il padre lo aveva vegliato invano. La stessa malattia che aveva colpito la sorellina aveva colpito anche lui.
In preda alla più profonda tristezza gli Shelley abbandonano anche Roma e riprendono la via del ritorno, mentre il poeta confessava in una lettera ad un amico il suo “disperato desiderio” di tornare in Inghilterra. Un amico li aiutò a sistemarsi a Villa Valsovano a pochi chilometri da Livorno. Nella nuova dimora immersa nella natura, tra vigneti e uliveti, campi coltivati e voci di contadini, entrambi i coniugi ritrovarono un po’ di serenità. Il poeta amava guardare le stelle di notte passeggiando nei campi e di notte e di giorno si rifugiava nella solitudine della torre della villa e scriveva e leggeva libri e giornali, tenendosi informato anche sulle vicende inglesi. Mary aspettava un figlio e la nuova vita in sé le restituiva il sorriso. Shelley leggeva la notizia del massacro di Peterloo e dei 60.000 lavoratori brutalmente dispersi dai soldati a cavallo. Si ridestava in lui lo spirito rivoluzionario che gli ispirava l’ accesa protesta politica di “La maschera dell’anarchia”.
L’autunno e l’avvicinarsi del parto li convinse a trasferirsi a Firenze dove Mary sarebbe stata assistita meglio. Trovarono una sistemazione nei pressi di S. Maria Novella; qui, mentre il poeta faceva escursioni, visite a gallerie e musei, frequentava teatri e passeggiava da solo lungo l’Arno, Mary rimaneva a casa a letto o distesa sul divano. In una giornata autunnale, mentre Percy passeggiava lungo l’Arno, fu colto da un violento temporale ed un forte vento. Da qui una delle sue più note poesie: l’ “Ode al vento di Ponente”.
Il 12 novembre di quel 1819 nacque Percy Florence, la quarta figlia degli Shelley. La prima, una bambina nata prematura, era anche lei morta dopo pochi giorni dalla nascita. La nascita di Florence fu importante per Mary che finalmente riuscì ad uscire da una profonda depressione. E la vita dei due coniugi e del loro seguito fu allietata da un’altra nuova presenza: la giovane affascinante inglese, Miss Sofia Stacey, che, accompagnata dalla sua governante, stava facendo il Grand Tour, ossia il viaggio culturale in Italia, secondo la consuetudine degli aristocratici di quel tempo. Il poeta, affascinato dalla giovane, l’accompagnava nelle sue visite culturali, fino a che Miss Sofia non lo salutò per proseguire il suo viaggio verso Roma. Di nuovo assalito da una smania di cercare qualcosa e già stanco di Firenze, Shelley si trasferisce con tutto il suo gruppo famigliare a Pisa.
Qui gli Shelley strinsero amicizia con i Mason: lady Margaret era un’aristocratica repubblicana e femminista e Percy amava molto le conversazioni a casa sua dove si affrontavano argomenti che gli stavano a cuore come ad esempio la rivoluzione irlandese. Mary aveva ripreso a cavalcare, e dalle visite mediche risultava che Percy godeva di buona salute. Il suo, in quel periodo, fu un illustre medico dal carattere gioviale, che aveva studiato a Londra e con il quale il giovane poeta divenne presto amico.
Questi gli consigliava cure termali e lunghe passeggiate. Quando, agli inizi di aprile, arrivò la notizia dGrassettoell’insurrezione repubblicana di Madrid, Percy la celebrò nell’ “Ode alla libertà” e, ridestatasi in lui la passione politica, scrisse anche “Una visione filosofica di riforma”. Nella classe aristocratica del suo tempo egli vedeva una classe di “parassiti che si ingrassavano con il lavoro degli operai” e, quantunque nemico di ogni violenza e portato se mai alla resistenza passiva, si dichiarava convinto della necessità di una rivoluzione. Con lui siamo in quella ricca e variegata corrente artistica che, al di là dei programmi e degli stili e persino dei contenuti oltre che del nome, raccoglie, nei tempi, artisti e scrittori che vivono la propria esperienza artistico – letteraria in totale armonia con le proprie convinzioni etico – sociali e filosofico – politiche.
Il nostro Percy Shiller, nei primi dell’ottocento, diceva di sé e degli scrittori in generale che “gli intellettuali sono strumenti della necessità storica e al servizio degli interessi della libertà e che i poeti e i filosofi sono misconosciuti e la loro carica rivoluzionaria è resa pubblica non prima di cento anni dopo.”
In agosto insorgeva Napoli: i moti del ’20 –’21! Aveva inizio il Risorgimento italiano! Shelley provò grande gioia ed entusiasmo. Erano infatti quelli i tempi in cui gli uomini più sensibili erano capaci di provare vero entusiasmo per quanto accadeva loro intorno e in cui gli animi “romantici” erano conformati in modo da sentire la causa d’un popolo come la propria, in quanto tutti facenti parte di un medesimo destino di ascesa e di conquista della libertà.
Quel medesimo spirito romantico e risorgimentale che aveva spinto lo stesso Lord Byron o il nostro Santorre di Santarosa a lottare per l’indipendenza della Grecia, o i Polacchi per gli Italiani e questi per quelli……, quel medesimo spirito che per un breve periodo affratellò le anime più evolute fece fremere di eccitazione l’animo di Percy Shelley! Ma questi non fu sufficiente la forte speranza di rinnovamento a preservare da quel suo stato di salute sempre precario che ora si evidenziava con nefriti croniche e stati di profonda malinconia, dovuti anche ad una temporanea assenza di Claire. Il ritorno della cognata riportò quello spirito brillante e di attiva partecipazione alle vicende del tempo di cui Percy aveva assoluto bisogno. Inoltre Mary conobbe personalità che introdussero gli Shelley in ambienti frequentati da poeti, letterati irlandesi, esuli liberali greci, tra cui lo stesso capo dei patrioti greci. E tra queste nuove conoscenze vi fu Teresa Viviani, la contessa che a 19 anni fu reclusa in un convento in attesa d’un marito degno di lei. Mary la descrisse molto bella e di grande talento, elegante nello stile dei suoi scritti.
Percy ne restò abbagliato fin dal primo incontro. Egli la chiamò Emily e la vide come l’incarnazione del perfetto ideale femminile, quasi una musa quale quelle ammirate nei musei fiorentini. Nel frattempo il medico continuava a consigliargli cure termali e molto movimento: comprare un cavallo sarebbe stato una buona idea! Percy accompagnato dai nuovi amici inglesi Williams andò a Livorno e invece di un cavallo acquistò una barca. Voleva raggiungere Pisa in barca di notte al chiaro di luna. Ma intorno alla mezzanotte la barca si capovolse e Percy, che non sapeva nuotare, fu salvato a stento dagli amici. Al riparo davanti al fuoco acceso d’un casolare, sebbene fisicamente molto provato, il poeta parlava con entusiasmo dell’avventura vissuta vedendola come un buon auspicio.
A Pisa, al suo ritorno, trovò la notizia della morte del poeta John Keats, morto a Roma a soli 26 anni; per lui Shelley scrisse: l’elegia rimasta famosa “Adonais”. Intanto il tutore dei figli nati dal primo matrimonio gli intentava causa e il’assegno del nonno gli veniva per un certo tempo bloccato. Riparata la barca, egli riprese ad usarla da solo o in compagnia della moglie o di amici. Uscire in barca gli dava molta felicità. Mary ricorda il fruscio della barca tra le canne dei canali… “

Di giorno una moltitudine di efemeri guizzavano avanti e indietro sull’acqua; di notte le lucciole emergevano dai cespugli lungo la riva; nel pomeriggio le cicale stordivano con il loro incessante frinire…” scrisse.

In ottobre gli Shelley riuscirono a persuadere l’amico Byron a trasferirsi a Pisa e per lui presero in affitto l’elegante Palazzo Lanfranchi sul Lungarno. La notizia del suo arrivo mise in allarme le autorità della città; Byron era conosciuto come uno stravagante , un protettore di carbonari, un centro di aggregazione di patrioti italiani, greci….. incontrollabile pericoloso sul piano politico… Tuttavia Byron arrivò a Pisa : il primo novembre del 1821 un corteo di cinque carrozze con domestici, cani, cavalli… comparve dinanzi allo sguardo preoccupato e sospettoso dei “tutori dell’ordine”! Palazzo Lanfranchi cominciò a sfavillare di luci notturne e ad animarsi di un via vai di intellettuali, esiliati… italiani, greci, inglesi….personalità di spicco della nobiltà locale, quale Teresa Guiccioli, la donna del poeta, e il fratello Pietro Gamba, importante esponente della Carboneria.
Shelley, in presenza della prorompente personalità dell’amico , riprendeva vigore nella salute e nell’umore, rivaleggiava con lui sul palcoscenico della vita mondana e per mantenere un certo primato, durante l’inverno, affrontava l’Arno in piena con la sua piccola barca sotto lo sguardo ammirato di Byron che lo osservava dal balcone di Palazzo Lanfranchi.” Solo Shelley, in questa età d’imbroglioni, osa volgere la prua contro corrente…” scrisse.
Giunse dalla Cornovaglia Edward John Trelawny: un avventuriero dal burrascoso passato, stravagante, che si atteggiava a corsaro. Mary ne fu incantata. Trelawny aveva con sé un modellino di una goletta americana. Shilley e l’amico Williams decisero di costruire una barca su quel modellino. E mentre sognava la barca già commissionata a Genova, Shellley assecondava il suo nuovo desiderio, sia perché stanca della chiassosa compagnia che perché desiderosa di ritrovare un po’ di raccoglimento. Così dopo poco i coniugi Shelley con gli amici Williams si trasferiscono a La Spezia. Trovano una casa in riva al mare: Casa Magni, molto vicina a Lerici e a pochi chilometri da un villaggio di pescatori. E in questo luogo ricco di bellezze naturali che lo entusiasmava, il poeta dovette dare a Percy la triste notizia della morte di Allegra.

Arrivò finalmente la barca tanto attesa! Arrivò nel Porto di Lerici elegante e veloce sul mare in tempesta. Si chiamava, forse per uno scherzo di Byron, Don Juan; il nome fu cambiato in Ariel. Don Juan era un’opera di Byron, Ariel era un nome che piaceva agli Shelley.

Percy era felice, in quella solitaria casa sul mare…. scriveva “Il trionfo della vita”, un’opera potente rimasta incompiuta. Mary aspettava da tre mesi un bambino ma la baia solitaria e l’incessante rumore del mare sotto le finestre la facevano sentire come in una “prigione incantata”. Era inquieta. Il 16 perse il bambino. Fu salvata contro ogni speranza, da Percy, che riempì di ghiaccio la vasca da bagno e vi immerse la moglie bloccando l’emorragia.
La vita riprese lentamente ma stupisce il fatto che Percy in una lettera all’amico Trelawny chiedeva una dose letale di acido prussico dicendo che non gli interessava il suicidio ma lo avrebbe confortato il sapere di avere in suo possesso “la chiave dorata per aprire la camera del perpetuo riposo”.
All’amico Gisborne , negli stessi giorni, egli scriveva che l’Italia per lui era sempre deliziosa … che il crepuscolo e il mare di Lerici avevano qualcosa di magico… che la sua barca era bella e veloce come una nave… che Williams ne era il capitano e Jane portava la chitarra e che avrebbe voluto dire con Faust all’attimo presente: “Fermati tu, che sei così bello!”.

Fu in questo periodo così denso di sensazioni ch’egli scrisse liriche assai famose come” Quando la lampada è infranta” e Versi scritti nella baia di Lerici”. Era giunto in Italia l’amico Leigh Hunt. L’aspettava da tempo. Dunque Percy decise di andare a salutarlo a Livorno. Mary decise di rimanere: il piccolo Percy Florence non stava bene. A Lerici, nelle chiese, si pregava per la pioggia. Faceva molto caldo e non pioveva da tempo. Percy e Williams e il mozzo Charles Viviana partirono per Livorno. I vecchi amici si abbracciarono felici.

La barca ripartì da Livorno l’8 luglio. Faceva molto caldo. Improvvisamente comparvero all’orizzonte nuvole nere e si alzò una densa foschia. Da Livorno si vide la barca lottare e dibattersi tra gli assalti di una furiosa tempesta….
Dieci giorni più tardi i tre corpi furono trovati tra Massa e Viareggio.
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