FERALE

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Indice

Lo scoglio Ferale

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“Roca da Gaiada” per i biassei o “Scoglio Ferale” per le carte nautiche, è uno scoglio a tronco di piramide a un centinaio di metri dalla riva, a Schiara, in mezzo al mare di fronte alla cosiddetta “costa da Gaiada”.

Questa costa era coltivata fino sulla scogliera, ma una frana, nel 1970, partendo dal sentiero che porta al Rebolu, ha portato via tutti i campi lasciando scoperta la viva roccia di arenaria. In tempi remoti anche lo scoglio era collegato alla costa perché si vedono ancora parti di roccia emergenti dal mare, chiamati “becheti”, a metà strada tra la roccia e lo scoglio stesso.

La “Roca da Gaiada” è un po’ il simbolo di Schiara, come “er Muntunau” (il Montonaio) è la roccia simbolo di Monesteroli e il “Merlin” (Merlino) la roccia della Fossola.

Lo scoglio si erge, punta solitaria piramidale, nel mare davanti alla Costa di Schiara ed all'omonimo paese aggrappato alla montagna, ed è facilmente riconoscibile per la croce sulla sua cima. Lo scoglio rappresenta uno dei pochi macigni rimasti lungo la costa di Tramonti. Gli altri, infatti, sono stati "spostati" dall’uomo per andare a costituire il baluardo difensivo del tracciato ferroviario delle Cinque Terre. Opera, a dir poco, nefasta, visto che questo tratto di costa, non più protetto dai suoi frangiflutti naturali, è andato via via franando sempre di più, mettendo in pericolo la stabilità della costa stessa.


Storia

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“Gaiada” da “Gaiarda” (gagliarda) come scoglio possente che affronta “gagliardamente” gli assalti del libeccio. Un monolite di nuda arenaria alto una trentina di metri e con un perimetro a pelo d’acqua di un centinaio di metri. Lassù in alto nidificano i gabbiani e vegetano radi cespugli radenti il suolo a causa del vento che indicano il limitare dei marosi nella loro massima potenza.

Già nelle antiche carte nautiche, questo scoglio è indicato come “ferale”, forse perché il mare in tempesta gli sbatteva spesso contro le navi in difficoltà. La leggenda narra di fuochi accesi da malintenzionati sulla sommità per attirare le navi: una volta sugli scogli erano alla mercè dei predatori.

Nel 1888, un cartografo della Marina Militare, durante alcuni rilievi sullo scoglio, scivolò in malo modo, uccidendosi. Era un tenente di vascello a nome Luigi Garavoglia. I compagni d’arme posero in sua memoria, una croce di marmo bianco. Nel marmo era scolpita col piombo la dedica: «Luigi Garavoglia, Tenente di Vascello, i compagni d’arme posero 1888».

Questa croce, alta oltre due metri, tutta di un pezzo, era stata posta alla sommità dello scoglio attraverso un complicato sistema di verricelli di cui sono ancora visibili tracce. Pesanti blocchi, sempre di marmo, erano stati messi alla base della croce per fissarla al suolo.

Il 13 giugno del 1982, a Schiara, come ogni anno si festeggiava la ricorrenza della festa di “Santantunin”, S. Antonio da Padova, nella minuscola chiesetta a lui dedicata quando, improvvisamente scoppiò un violento temporale. Dalla parte di mezzogiorno, si fece d’un tratto tutto scuro e le nuvole vomitavano torrenti di acqua nel mare plumbeo mentre lampi e tuoni laceravano il silenzio e lo spazio di Tramonti.

Quello dei temporali a Tramonti è uno spettacolo che incute paura, ma è allo stesso tempo affascinante: i lampi si gettano in mare accompagnati da brontolii o secchi rumori di tuono. Il giorno si oscura e folate di aria fredda annunciano l’avvicinarsi della pioggia che, in basso, sferza il mare fattosi miracolosamente fermo. Scuri nembi di nuvole si abbassano toccando il mare e sollevano trombe di acqua marina, che partono veloci andando a scaricare altrove la loro potenza.

Poi arriva la pioggia che si infrange, rumoreggiando, sui tetti delle cantine, annulla la visibilità, ruscella, travolge: sovente si sente in lontananza il caratteristico rumore delle frane o lo smottamento dei muri.

Uno di questi temporali, quel 13 giugno 1982, lasciò il segno. Quella croce di marmo che in quasi cent’anni ne aveva affrontato di temporali, cedette e cadde sul lato verso il mare aperto.

Giacque a pezzi sulla scoscesa parete finché le mareggiate non ne cancellarono definitivamente l’esistenza.

Passarono alcuni anni: la gente di Tramonti guardava con rammarico lo scoglio monco, i gabbiani lanciavano i loro gridi volteggiando quasi a reclamare la mancanza del loro più amato appiglio, finché, in seguito ad alcune richieste per la sistemazione di un’altra croce sullo scoglio, la Marina Militare si sensibilizzò al punto di farne costruire una in acciaio inossidabile in Arsenale, che dopo essere stata pitturata in bianco, fu posta a sostituire quella in marmo crollata tre anni prima.

Immersioni al Ferale

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Grosso scoglio, facilmente identificabile, poco distante dalla costa, è sicuramente uno dei punti di immersione più belli. Si scende lungo il versante esterno dello scoglio fino ad una profondità massima di 25-30 metri si trovano colonie di paramurice che durante la stagione della deposizione, tra i loro rami si possono ammirare delicate uova di gattuccio. Nella risalita si possono incontrare branchi di saraghi e grossi scorfani perfettamente mimetizzati con l'ambiente. Durante la stagione estiva vi è un notevole traffico nautico e quindi la risalita si conclude lungo una cima con pallone decompressivo. L'assistenza in superficie è assicurata dalla barca che staziona attorno al pallone, a protezione del Sub.






Filastrocca

Una ingenua filastrocca accomunava i tre scogli circondati dal mare alle tre località di Tramonti di Biassa.

Dialetto Italiano

N sa roca da Gaiada

la ghe canta a lümaga;

’n sa roca der Muntunau

la ghe canta l’animau;

’n sa roca der Merlin

la ghe canta l’uselin.

Sulla roccia della Gaiada

ci canta la lumaca;

sulla roccia del Montonaio

ci canta l’animale;

sulla roccia del Merlino

ci canta l’uccellino”

Leggenda

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Il sipario si stava chiudendo sulla fine del primo atto del dramma. Echeggiavano applausi nell’aria ferma e vuota sopra la platea del Teatro Civico. La duchessina Gagliarda Cavilli de Judici si ritirò nel buio del retropalco; il suo amante, il bel Leandro, sarebbe giunto a momenti, l’appuntamento, ricordava, era tra i due atti. Gagliarda controllò il trucco: sul color terra bruciata spiccavano due labbra carnose di un verde bottiglia, due occhi plumbei ed enigmatici, un neo peloso a destra in basso. La duchessina era una delle donne più affascinanti di La Spezia. Più che un volto, ella aveva una tavolozza da pittore, dalle mille tonalità. L’attesa del bel Leandro era diventata spasmodica: le gonne frusciavano, le sottogonne accompagnavano con un lamento il rumore metallico delle stecche del busto. Già nel primo atto i vicini di palco erano andati a protestare più volte, minacciando anche l’intervento della milizia, se Gagliarda non fosse rimasta immobile per non produrre fastidiosi suoni. Ora si augurarono che la passeggiata nel palco finisse prima del secondo atto. Si aprì la porta e nel vano comparve, in tutta la sua statura, Leandro; resa senza pudore dall’attesa, Gagliarda si lanciò con un urlo da tigre contro il robusto petto dell’amante e ci si abbracciò. L’urto fu veemente di passione e si udì un suono come di boccia da demolizione che cozzi contro una rocca di cemento. Se ne trovano cenni in alcune lettere di spettatori di quella serata, che scrivono anche che in sala ci fu prima un fuggi fuggi, per paura di un crollo, poi una vera e propria sommossa verso il palco dei due innamorati. Leandro, preoccupato, ebbe appena il tempo di sussurrare “Gagliarda, meglio che vada, prima che mi vedano. Ti aspetto domani al tramonto in.....” e sparve come può sparire un metro e novantatre d’uomo che trasporti i suoi novantanove chili. La sventurata duchessina, non solo non capì l’ultima parte della frase, detta di schiena e andandosene, ma intese “Tramonti” invece di “tramonto”. Le sembrò strano un simile luogo per il convegno amoroso, comunque concluse che Leandro strano lo era e così il giorno dopo si fece cullare dal rollio della barca e dal canto di Elio, il barcaiolo, e intanto pensava alla freddezza di Leandro. Tempo prima, l’amante l’avrebbe tuffava con stile carpiato e doppio avvitamento in avanti nell’alcova, dove, con mani aduse ai cordami dei vascelli, le avrebbe slacciato i lacci e l’avrebbe fatta sua. Ora il comportamento sbrigativo del bel Leandro la metteva in sospetto e cominciò a tremare per il timore. Il rumore delle stecche del busto fecero ritenere agli altri barcaioli che Elio trasportasse un lebbroso e si tennero lontani. La barca, guidata con voga esperta e avendo sempre la precedenza, raggiunse in breve Tramonti, dove di Leandro nemmeno l’ombra. In quel momento un occhio attento avrebbe notato il mastodontico giovane stazionare nei pressi del faretto del porticciolo, avvolto in una mantiglia da camuffamento con arabeschi rosa. Stava mandando amorosi insulti all’indirizzo di Gagliarda. La duchessina ascoltava Elio cantare “Oh bela Speza” e si chiedeva perchè Leandro tardasse. S’era fatta notte e quella notte che s’era fatta silenziosa fu squarciata da un urlo disumano. ”Deh, o ssemo, ma tei n’ benè come quela bagassa de te mae?” (traduzione: Olà, autista della barca, sciocchino, sei sbadato come tua madre, peraltro scusabile perchè avanti con gli anni?”) Era successo che Elio, distratto dal canto, non aveva notato un’altra barca che proveniva in senso contrario e aveva rischiato lo speronamento. Gagliarda che stava ritta in piedi, scrutando la spiaggia in cerca del suo bello, perse l’equilibrio per la veloce virata di Elio e, senza fare alcun esercizio di respirazione preliminare, piombò nel mare gelido, perfettamente orizzontale al pelo dell’acqua e riemerse quasi subito. Riemerse, è vero, ma solo per affondare in breve tempo, trascinata a fondo dal peso di gonne, sottogonne, busto, stecche, mantelli e dal fatto che non sapeva nuotare. Gli sforzi di Elio per salvarla furono vani e il barcaiolo, in preda allo choc, si lasciò andare alla deriva e, raggiunta la terra, si lasciò andare anche al vizio del bere. Cosa successe di Leandro non ci è dato sapere, ma se venite a La Spezia vi racconteranno che in certe notti di luna piena, una barca scivola lenta e lugubre sulle acque schiumose attorno ad uno scoglio detto Ferale. Si sente provenire dal natante un suono metallico, ma nessun segno di vita; gli spezzini sanno che si tratta delle stecche del busto di Gagliarda, che trema per il desiderio di abbracciare Leandro. I turisti chiedono di andare allo Scoglio Ferale detto Gagliarda, per vedere il punto dove la duchessina si inabissò; i barcaioli la chiamano La Duchessina Volante per far colpo sulle turiste, che chiedono se siano in vendita pupazzi di Gagliarda, Leandro e Elio di peluche. Non ci sono, altrimenti andrebbero a ruba. Alberto Cariola 21/05/2009



Fonte:SUB ROSA SOCIETY FONDAZIONE DI ARTE E FILOSOFIA ; Giancarlo Natale ; Di là da’ monti--Storie e leggende di Biassa e Tramonti

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