LA COLONNA DI SAN ROCCO

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Per secoli è stata il simbolo della Spezia, prezioso punto di riferimento di devozione per i credenti o soltanto architettonico per i passanti. Poi è scomparsa, dispersa nella tempesta dei tragici anni dell’ultima guerra. È rammentata come Colonna di San Rocco, un pilastro di marmo ben levigato alto tre metri e sormontato da un capitello di granito e da una statuetta – non certo un’opera d’arte – di quel santo che secondo la tradizione protesse la comunità spezzina da una devastante epidemia di peste che stava affliggendo l’Europa intera. Di essa ci è rimasto solo un suggestivo dipinto di Agostino Fossati. Non si sa nemmeno dove esattamente fosse, né è possibile provare a immaginarlo, tanto è cambiata la fisionomia di quella piazza che un tempo si chiamava Piazza di Corte e che oggi è Piazza Beverini. Lì, davanti al palazzo dei Biassa, che ora ospita la sede centrale della Cassa di risparmio, nell’Ottocento sorgeva il Palazzo Civico – detto anche “palazzo cenere” – un fabbricato costruito attorno al ’600 sopraelevando la Curia trecentesca. Nell’area attualmente occupata dal grattacielo, c’erano invece una dozzina di casupole. Lì si concentravano le funzioni civili, religiose, politiche e giudiziarie della città fin dal Medioevo. Ebbene, nello spiazzo prospiciente la Curia, la platea communis, fin dai primi anni del ’400 si teneva il mercato quotidiano di frutta e verdura con prodotti degli orti e del bosco portati da Biassa, dalle colline circostanti, ma anche dalla Val di Magra e dalle campagne massesi. Nel 1489 – Colombo doveva ancora scoprire l’America: lo avrebbe fatto tre anni dopo – la piazza fu rialzata di un paio di scalini dal piano stradale, e in un angolo venne sistemata quella pregevole colonna. Il capitello, scolpito nel medesimo anno, era posizionato tra la sommità della colonna e la statua, e recava scolpiti da un lato lo stemma della Repubblica di Genova, dall’altro lo stemma della Spezia con la torre, per la prima volta proposta su due piani, sormontata da un aquilotto con le ali dispiegate nell’atto di spiccare il volo, primo assoluto raffigurato in quell’atteggiamento nella storia della città. Deriva da lì il simbolo dell’aquilotto nel quale è identificata la gloriosa squadra di calcio. Vaghe e scarse sono le notizie relative al destino di quei tre reperti. Della statuetta, che si ritiene fosse stata scolpita nel 1568, si sono ben presto perdute le tracce mentre della colonna si sa invece che quand’era ancora in vita Ubaldo Mazzini (morì nel 1923) essa giaceva abbandonata in un magazzino. Sembra messa lì «a guardia di una vecchia latrina», protestava Gamin nel 1894 sollecitando la giunta municipale «ad adoperarsi perché la storica e votiva colonna ritorni nella piazza del Comune». Appello evidentemente caduto nel vuoto. Probabilmente però sopravvisse ancora qualche anno seguendo la sorte del capitello. Di quest’ultimo oggetto si sa che, iniziata la seconda guerra mondiale, insieme a tutti gli alti reperti archeologico più importanti che si trovavano al museo fu trasferito nel convento delle Clarisse, ritenuto un luogo più sicuro. E invece proprio quel grande complesso del Poggio fu ridotto in macerie dalle bombe inglesi, e con esso andarono distrutti pressoché tutte le preziose testimonianze del lontano passato lì custodite. Sta di fatto che della colonna e del capitello non si seppe più nulla.

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