LA STORIA DI PIETRO FORZONE

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C’era una volta un uomo con una forza tremenda e un coraggio da leone. La gente gli diceva: “Col tuo coraggio e la tua forza sei sprecato in questo paese, ti conviene andare per il mondo a far fortuna!” Un bel giorno il giovane, che tutti chiamavano Pietro Forzone, decise di andare; chiese alla madre di preparargli una bisaccia con qualcosa da mangiare e qualche vestito, e partì. Arrivato in un paese, non lontano, vide tutti gli abitanti raggruppati in un punto e sentì urlare a gran voce: “Voi di sotto scansatevi tutti che butto giù le macine! Attenzione che butto! Allora butto!” “Cosa succede?” chiese Pietro Forzone al primo che gli capitò. “È Carlone che butta a valle i massi più grossi per farci le macine del mulino e del frantoio.” “Allora questo è forte quanto me. Appena finito il suo lavoro andrò a parlargli e cercherò di convincerlo a seguirmi.”

Detto e fatto, Pietro andò a casa di Carlone e lo persuase a seguirlo: “D’ora in poi ti chiamerò Spingimacine e insieme faremo fortuna!” I due, con la bisaccia dei loro averi a tracolla, andarono per il mondo. Dopo aver camminato per un po’ raggiunsero un fiume dove trovarono un uomo intento a succhiare l’acqua del fiume. “Allontanatevi dalla sponda che vi può sommergere” dissero un gruppo di contadini ai due amici. “Cosa sta succedendo?” chiesero questi. “C’è uno che succhia l’acqua dal fiume e la riversa nei campi per annaffiarli!” Finito il lavoro Pietro Forzone si avvicinò all’uomo e gli disse: “Ehi Seccafiumi, vieni con noi e faremo fortuna!” Quello non se lo fece dire due volte, si caricò lo zaino in spalla e li seguì. Dopo aver camminato a lungo i tre arrivarono nelle vicinanze di un paese costruito su uno spuntone di roccia. Sotto la roccia un uomo grande e grosso reggeva la montagna e il paese. “Cosa fai?” gli chiesero i tre. “Non vedete che sto reggendo la montagna per non far precipitare il paese!” “Ma il paese è abitato?” “No! La popolazione lo ha abbandonato.” “E allora cosa ti reggi? Lascia perdere tutto e vieni con noi a far fortuna!” Quello, stanco di faticare, abbandonò la presa e li seguì; a quel punto tutto il paese rovinò a valle. “Ti presento i miei amici Spingimacine, Seccafiumi, io sono Pietro Forzone e tu sarai Reggimontagne.”

I quattro si misero in cammino. Cammina, cammina si fece notte; lungo la strada, in mezzo a un bosco, trovarono una vecchia casa disabitata dove si fermarono a dormire. Durante la notte rincasò il proprietario: era un terribile orco con sette teste che terrorizzava gli abitanti dei paesi vicini. Costui appena dentro la casa s’accorse degli intrusi e cercò di farli prigionieri, ma Pietro Forzone per nulla intimorito svegliò gli amici, e con la spada cercò di tagliare le teste all’orco; il quale, spaventato da tanto coraggio, scappò e andò a nascondersi in un pozzo profondo dietro la casa. “Come possiamo scendere nel pozzo?” si chiesero gli amici. “Io vi posso aiutare a scendere nel pozzo” disse loro un grosso uccello rapace che stava appollaiato sopra un albero vicino “però voglio carne, perché io mi nutro solo di carne.” Gli amici prepararono un cesto di carne, la diedero all’uccello e decisero di far scendere nel pozzo Spingimacine. Questo in groppa all’uccello scese nel pozzo dove incontrò un turbine di fumo, fuoco e fiamme: purtroppo non gli fu possibile proseguire anche perché l’uccello appena finita la sua razione di carne volle tornare su. Gli amici allora procurarono dell’altra carne per darla ancora all’uccello che scese nuovamente nel pozzo, questa volta con Seccafiumi in groppa. Questi trovò una tempesta di vento, acqua e grandine e non poté proseguire anche perché l’uccello appena finito di mangiare volle ritornare in superficie. Provò nell’impresa Reggimontagne, ma anche a lui capitò quello che era accaduto ai suoi amici.

A quel punto Pietro Forzone disse: “Ora ci provo io. Caricate il cesto pieno zeppo di carne e vediamo se riesco ad arrivare sul fondo del pozzo!” E così fece. L’uccello carico di carne superò il turbine di fuoco, la tempesta d’acqua e riuscì a trasportare Pietro Forzone fin sul fondo del pozzo. Qui si apriva un vasto antro con tre grossi palazzi. Pietro Forzone bussò al portone d’ingresso del primo palazzo. Si affacciò una giovane bella e mora che timorosa gli chiese il nome e poi gli disse: “Fuggi da qui, questo è il palazzo dell’orco che mi tiene prigioniera, come le mie sorelle, e se ti trova farai una brutta fine.” “Dimmi dov’è l’orco e ci penso io a sistemarlo.” La ragazza gli indicò una porta. Pietro Forzone la sfondò e con la spada cercò di uccidere l’orco; questo spaventato fuggì e si andò a rimpiattare nel secondo palazzo. Pietro Forzone andò al secondo palazzo e bussò al portone; questa volta si affacciò una giovane bella e bionda che preoccupata gli chiese chi fosse e cosa volesse e poi gli disse: “Vattene da qui, questo è il palazzo del mago cattivo che mi tiene prigioniera, come le mie sorelle, se ti vede farai una brutta fine.” “Sono Pietro Forzone, non ho paura di nessuno, dimmi dove si trova l’orco e ci penso io a sistemarlo.” Allora la ragazza, visto tanto coraggio, gli indicò la stanza dove si nascondeva il mago; Pietro sfondò la porta e cercò di uccidere il mago, che spaventato fuggì e andò a nascondersi nel terzo palazzo. Anche qui ad aprire la porta al giovane coraggioso si presentò una bella ragazza con i capelli castani molto somigliante alle due precedenti. Anch’ella disse di essere prigioniera e si preoccupò d’informare il giovane del pericolo che stava correndo in quel palazzo.

Lui come al solito pieno di coraggio chiese del mago, lo affrontò e con la spada gli tagliò una delle sette teste dalle quali uscivano lingue di fuoco, fumo, fiamme, scrosci d’acqua, grandine e vento; ma il mago più arzillo di prima continuò a lanciar turbini e tempeste. Pietro Forzone tagliò la seconda testa ma non successe nulla e così tagliò tutte le teste. Soltanto quando furono tagliate tutte e sette il mago stramazzò al suolo privo di vita. A quel punto Pietro Forzone liberò le tre ragazze e tornò all’imboccatura del pozzo dove l’uccello stava per consumare gli ultimi tre pezzi di carne; dandone uno per volta riuscì a rimandare in superficie le ragazze e fece dire da queste agli amici di procurare altra carne per sé. Gli amici, saputo che le tre ragazze erano le figlie del re, abbandonarono Pietro Forzone nel pozzo e sperando in una grossa ricompensa andarono al palazzo reale fingendo di essere stati loro a salvare le ragazze e minacciando queste se avessero svelato la verità al padre. In fondo al pozzo Pietro Forzone attese per un po’ il ritorno del rapace poi, resosi conto di essere rimasto prigioniero, si procurò alcuni topolini che gli servirono da esca per richiamare l’uccello. Quando l’uccello tornò nel pozzo, Pietro si afferrò stretto alle ali e si fece portare fuori. Da qui raggiunse il palazzo reale, smascherò i tre compari che, per ricompensa stavano per sposare le figlie del re. I malintenzionati furono così messi in prigione mentre Pietro Forzone sposò la più bella delle principesse... Biscoto binelo bifé...

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