PADRE DIONISIO

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Padre Dionisio, al secolo Giovanni Mazzucco, nacque a Silvano d’Orba l’8 marzo 1907, ultimo di quattro fratelli da famiglia di umili origini: il padre Giuseppe era contadino e la madre Angela Ravera accudiva la casa e la numerosa prole; qui trascorse gli anni dell’infanzia, frequentando l’asilo e la scuola elementare.

A 12 anni varca la soglia del Seminario dei Cappuccini a Genova Cornigliano, mosso dall’esempio di un suo compaesano, divenuto poi P. Cherubino e morto in giovane età.

Il 14 agosto 1922 vestì l’abito cappuccino a Genova – San Barnaba. Proseguì gli studi a Savona, a Quarto dei Mille e a Genova - San Bernardino. Il 30 maggio 1931 fu ordinato sacerdote dal Cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, arcivescovo di Genova.

Nel periodo degli studi sviluppò una intensa vivacità spirituale che lo avrebbe ben presto portato a distinguersi per capacità oratoria e comunicativa.

Trascorse i primi anni del suo sacerdozio in vari conventi della Liguria, conducendo l’ordinaria vita di preghiera e di lavoro dei Frati Cappuccini, e dedicandosi con frutto al ministero della sacra predicazione.

Il periodo più lungo di questi anni Padre Dionisio lo trascorse al Santuario di Nostra Signora delle Grazie in Voltri: lì affinò le sue doti ed in particolare la predicazione, conquistando il cuore e l’intelligenza dei fedeli che ascoltavano i suoi sermoni. Egli acquisì ben presto notorietà e fama predicando dai diversi pulpiti di Prà, del Padre Santo, del Lagaccio, di San Francesco in Albaro, fino ad essere richiesto in terre più lontane: da Ascoli a Cerignola, da Fano a Rimini, da Bergamo a Marsiglia.

Padre Dionisio al servizio dei soldati
Nei primi mesi della seconda guerra mondiale, quando le truppe italiane occuparono Mentone, presso Ventimiglia, Padre Dionisio fu incaricato di custodire il locale Convento dei Cappuccini abbandonato dai Confratelli francesi.

Prese contatto con le autorità civili, militari, politiche, divenendo punto di riferimento di ognuno: in particolare la presenza fra gli ufficiali gli fruttò la qualifica di cappellano militare e si spese in un inteso lavoro su una vasta regione per curare i feriti, suffragare le vittime, fornire assistenza spirituale e morale a civili e carcerati, offrendo tutto se stesso, usando, per i suoi continui spostamenti sul fronte italo francese, di una vecchia moto. A seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 fu catturato dalle SS e con una rocambolesca fuga, dopo una faticosissima e lunga marcia di sei giorni, si allontanò dalle vallate cuneesi per trovare momentaneo rifugio a Silvano.

In seguito fu destinato al convento di Ovada, ove rimase cinque anni, distinguendosi nell’assistenza a bisognosi, anziani, e indigenti, questuando tra i benestanti legna, grano, indumenti, denari e e ogni genere di conforto per i tantissimi poveri. Nel 1948 ricevette “l’obbedienza” del P. Provinciale di recarsi, «facendo – come amava ricordare - un salto quasi mortale», a La Spezia, come «Cappellano ONARMO nell’Arsenale Militare».

Gli inizi della nuova attività furono molto difficili: dovette lavorare in un ambiente difficile in un periodo socialmente delicato, ma l’ostilità e la freddezza con cui era stato accolto dai dipendenti col tempo si stemperò e poté intraprendere un lungo e faticoso cammino a favore degli emarginati, impegnandosi in prima persona. Riuscì, in quei turbolenti frangenti, a farsi apprezzare e pose le basi per creare un centro per raccogliere i ragazzi, aiutandoli a crescere, istruendoli ed emancipandoli.

Gli fu d’aiuto la vista d’un bimbo che camminava a piedi nudi in pieno inverno lungo la via in prossimità dell’Arsenale: gli procurò le scarpe e riaccompagnatolo a casa, constatate le misere condizioni in cui versava tutta la famiglia, ebbe chiara la missione a cui era stato chiamato con l’aiuto di Dio e senza esitazioni, spendendo ogni proprio vigore, avrebbe creato un centro per i ragazzi, la “Casa del Fanciullo”.

Senza un soldo, ma con tanta fiducia nella Provvidenza, ottenne, col passare degli anni, il sostegno degli Spezzini, soprattutto della gente comune che seppe intravedere nel suo fervore l’impronta dei valori cristiani di bontà e carità. In poco tempo realizzò un pratico sistema di raccolta fondi: distribuì cassettine per le offerte presso gli esercizi pubblici; organizzò raccolte di carta, stracci, vetro, rottami; istituì lotterie di beneficenza, chiese offerte ai fedeli; si improvvisò distributore di caramelle e di bevande sugli spalti del campo di calcio; con felice intuizione costituì la Giornata dell’automobilista con benedizione annuale delle auto di tutta la città pur di raccogliere offerte per la sua nobile causa.

Raggiunse un primo obbiettivo quando, nel 1953, acquistò un terreno demaniale a Porta Isolabella, posto su una collina brulla e spoglia ma in posizione panoramica sopra il porto.

Dopo altre fatiche ed avventure acquistò la bellissima Villa Podestà ed il 15 maggio 1957 questa divenne la sede del Sorriso Francescano di La Spezia:

una suntuosa e nobile dimora adattata ad accogliere i piccoli ospiti con cucina, refettorio, dormitori, luogo di incontro e svago ed un ampio giardino: di lì a poco la casa iniziò l’attività ospitando i primi dodici bimbi.

Per sostenere le ingenti spese di gestione inventò il Festival della bontà, una manifestazione canora che ricevette anche la benedizione papale, ed ebbe, nelle due edizioni che si tennero, uno straordinario successo. Sempre a quegli anni risale la realizzazione degli impianti sportivi sul terreno di Porta Isolabella:

due campi da tennis ed un campo di calcio circondato da alti pini.

Dapprima fu la Marina Militare a dargli gli aiuti più cospicui e l’incoraggiamento necessario, ma col tempo ricevette da tutti consensi e gratificazioni, sapendo farsi interprete di un desiderio di rinnovamento, emancipazione e sviluppo che in quel periodo era presente in tutta la penisola; il desiderio di avere un avvenire migliore.

Casa, scuola ed asilo crebbero con gli anni, anche con momenti di alterna fortuna e Villa Podestà divenne un punto di riferimento sociale, oltre che religioso: sostenuta dall’opera di religiose di ottima fede e di ferma volontà l’Opera si sviluppò tanto da divenire, in alcuni frangenti, dimora per un gruppo di portatori di handicap, nonché centro sperimentale di recupero sociale per gli emarginati.
Padre Dionisio allieta alcuni confratelli con la fisarmonica

Negli ultimi anni Padre Dionisio, non ancora contento di quello che già aveva realizzato, volle edificare una Colonia estiva montana a Suvero (La Spezia), con l’annessa chiesa-santuario intitolata a “Maria, Madre di tutti gli uomini”.

Ancora poco prima rilasciarci Padre Dionisio aveva ricevuto, oltre che il «Premio della Bontà», anche dei grandi festeggiamenti in occasione del quarantennale della sua attività spezzina: era stato dichiarato “arsenalotto honoris causa”.
Padre Dionisio si è spento lasciandoci testimonianza di autentica fede cristiana, di straordinaria volontà, di tante capacità spese a favore degli altri, in particolare dell’infanzia, sapendo diventare un punto di riferimento per tanti.
Lo spirito di sacrificio con cui ha affrontato le difficoltà è il motore per ogni civiltà, dimostrandoci che cosa significhi essere uomini di speranza. Era solito ricordare che “… la speranza non è degli ansiosi o dei passivi: è di chi è disposto ad essere attenti ed attivi di fronte alle attese di questo mondo ed alla crescita di un mondo nuovo”.
Gli spezzini sono contenti di ricordare le origini di questo grande frate e hanno il dovere di non dimenticare i valori umani e cristiani che Padre Dionisio ha perseguito.
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