SAN VENERIO PATRONO DEL GOLFO

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Nacque intorno al 560 e fu un monaco eremita nel monastero un tempo esistente sull'Isola del Tino, isola dell'arcipelago spezzino di cui fanno parte anche l'isolotto del Tinetto e l'isola Palmaria. Morì nel 630 e in sua memoria fu costruito sulla sua tomba un monastero ad opera dei monaci Benedettini. San Venerio divenne il patrono di Luni, ma la città nel periodo seguente all'anno mille fu saccheggiata a più riprese dai Vichinghi e, soprattutto, dai Saraceni.

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Come conseguenza la città cadde in un periodo molto buio nel quale la sede del Vescovado fu trasferita a Sarzana. Le reliquie del santo furono invece trasferite a Reggio Emilia, dove il santo fu affiancato a san Prospero e ai santi Cosma e Damiano, nel ruolo di patrono della città. In epoca più recente le sue reliquie sono state traslate sull'Isola del Tino, nel Vescovado di La Spezia, con una solenne cerimonia.

San Venerio è il patrono del golfo spezzino e dei fanalisti d'Italia. Portava nel suo stesso nome il legame alla sua terra e al suo mare: Venerio, nato e vissuto, secondo le datazioni più accettabili, fra 500 e 600 dopo Cristo, nella zona di Porto Venere, oggi provincia e diocesi della Spezia.

Non esistono racconti della sua vita scritta con la precisione di date e di fatti come desidereremmo oggi, ma diverse tradizioni che, costruite sui più usuali schemi dell’agiografia medievale, tendono a darci in primo luogo il ritratto sostanziale della sua vita di cristiano, di monaco, di missionario. Giovane ed esperto marinaio, fiero della libertà che gli dona l’orizzonte infinito del mare, abituato ad affrontare i rischi di navigazioni tempestose, è attratto dal silenzio, dal clima di contemplazione e dallo spirito di povertà che trova nel monastero benedettino dell’isola Palmaria, dinnanzi a Porto Venere.

E qui decide di dedicare interamente la sua sua vita ad amare Dio, nella penitenza e nella preghiera, e gli uomini della sua terra, con l’aiuto materiale e spirituale che caratterizza la regola di San Benedetto. I suoi progressi nella vita monastica sono tali che il vecchio abate lo designa ben presto come suo successore, anche se la critica storiografica moderna è restia a riconoscergli il titolo di abate.

Poi forse infastidito dalla troppa rinomanza del suo nome, o forse anche da certa rilassatezza dei suoi confratelli monaci cui non riusciva a porre rimedio, lasciò l'abbazia di Porto Venere e si ritirò a vita eremitica nella vicina Isola del Tino.

Ma va ricordato che, per l'eremita di ogni tempo, la "fuga dal mondo" significa fuga dalle tentazioni del potere, del lusso, dei godimenti vari per poter vivere più intensamente l'amore di Dio che è anche – e non può non essere – amore per gli uomini. Così, mentre da una parte ricerca Dio seguendo alla lettera i consigli del Vangelo, dall'altra è largo di aiuto ai marinai, introducendo nelle loro imbarcazioni la più sicura e maneggevole vela latina e altre innovazioni tecniche utili a rendere meno precaria la vita degli uomini di mare.

E, stando sulle barche dei pescatori per insegnare loro i più utili miglioramenti tecnologici al loro duro mestiere, non manca di parlare di quegli altri pescatori che furono gli apostoli, invitati da Gesù a diventare "pescatori di anime", diffusori del Vangelo.

Nel suo eremo del Tino, Venerio alterna la preghiera con l'accoglienza ai marinai e agli uomini della terra ferma che ricorrono a lui per aiuti materiali ma, soprattutto, per consigli che li guidino a districarsi nelle difficoltà della vita quotidiana. E, di questi, improntati alla più schietta saggezza evangelica, Venerio è quanto mai ricco, non d'altri beni.

A quanti vorrebbero , in segno di gratitudine, donargli cibo, vesti o altro, egli rivolge l'invito di donarli ai poveri, suscitando in tal modo, nelle sue popolazioni, un clima di attenzione cristiana ai bisogni degli altri. Per sé chiede di vivere, per quanto possibile, col solo lavoro delle sue mani. E con le sue mani, raccogliendo legna dalla folta vegetazione che circonda l'eremo, nelle notti di buio e di tempesta, accende un grande fuoco nel punto più alto dell'isola: una grande luce che orienta quanti stanno navigando attorno alla Palmaria, a Porto Venere e perfino nel non lontano golfo di Luni.

Dietro gli aneddoti e i racconti di stile leggendario tipici dell’agiografia medievale, emerge la santità autentica di Venerio, che ricerca e trova Dio non in astratte e solitarie verità intellettuali, ma facendosi prossimo ai poveri della sua terra, con energia salda e creativa e con tutta l'abnegazione richiesta dal "comandamento nuovo" dell'amore.

Dice ancora la tradizione che, nuovamente infastidito dalla troppa fama che viene a circondare la sua persona, egli fugge una seconda volta, per un po' di tempo, nell'isola di Corsica, per ritornare poi al suo eremo dove muore in fama di santità attorno all'anno 630 dopo Cristo. Sulla sua tomba verrà poi edificato un monastero dal quale i monaci, sul suo esempio, continueranno a diffondere il Vangelo tra gli abitanti delle montagne dell'entro terra e proseguiranno, ininterrotta, la sua opera di bene.

La storia italiana ed europea di quegli anni segna mutamenti epocali. Sulla terraferma stanno irrompendo le così dette popolazioni barbariche; negli anni di Venerio, in particolare, sono i Longobardi che occupano gran parte di Liguria e Toscana. Il mare è tenuto sempre più debolmente dalle navi bizantine, ma non passeranno che pochi decenni e si manifesterà il terrore delle navi saracene e normanne. In questo contesto, l'insegnamento e l'esempio di vita di Venerio rimangono come un faro che guida le genti del Golfo, e dell'entroterra lunense a ritrovare, nel Vangelo, la luce che li guida fuori dall'oscurità delle barbarie e dalle incertezze del cambiamento sociale e politico.

Anche da morto, Venerio è nel cuore delle popolazioni del Golfo, tanto che, quando, circa un secolo dopo la sua morte, queste terre e questi paesi saranno attaccate dalle navi saracene e poi normanne, il primo pensieri degli abitanti di Porto Venere sarà quello di mettere al sicuro la venerata salma del santo.

In questa circostanza avviene l'incontro di san Venerio con le popolazioni reggiane. È infatti il vescovo di Reggio Emilia (allora si diceva: di Lombardia) che, per disposizione dell'Impero, ha l'incarico di proteggere con i suoi soldati le genti e le città del Golfo dalle incursioni saracene e normanne. Ed è così che, per salvarla, la preziosa reliquia di San Venerio viene trasportata a Reggio attorno all'anno 830.

Di Reggio san Venerio diventa presto com-protettore insieme a San Prospero. Un abbinamento che si riperà ovunque parrocchie , oratori o semplici altari verranno dedicati al santo vescovo di Reggio. Il corpo di San Venerio sarà custodito successivamente dai monaci benedettini dell'abbazia reggiana di San Prospero fuori le mura che, dopo alterne vicende, verrà ad avere la sua sede attorno a quella che è l'attuale chiesa cittadina dei Santi Pietro e Prospero dove ancora è custodito il suo corpo. Non il capo, però. Questo, riposto in un reliquiario a parte, per una disposizione del papa Giovanni XXIII del 1959, venne restituito alla neo costituita diocesi de La Spezia che ha san Venerio come suo primo e particolare protettore e che, il 12/13 settembre, a Porto Venere, gli tributa onorisolennissimi.

Naturalmente, i monaci reggiani diffusero in tutti i loro possedimenti il culto di San Venerio, particolarmente in montagna dove ebbe un centro nell'eremo-hospitale di San Venerio in Carù, già esistente in età matildica, e nella pianura di Reggiolo.

La figura paterna di san Venerio trovò facile incontro nella gente reggiana. Non ai viaggi di mare essa era abituata, ma alle non meno lunghe e non meno pericolose transumanze, alle migrazioni stagionali nelle maremme, nelle coste liguri e tirreniche dove, ritrovando tanta devozione a questo santo sacerdote e monaco, pareva alle nostre popolazioni dell’entroterra reggiano di ritrovarsi in un certo senso a casa.

Anche per loro, il santo del mare era orientamento nelle vicende della vita, era esempio di come essere accolti e di come accogliere e , soprattutto, di come costruire una società a misura d'uomo, amando Dio amando il prossimo come e più di se stessi.

Oggi, nella rivistazione di San Venerio, appaiono sorprendente alcuni analogie tematiche fra i suoi tempi di san e i nostri, ben sottolineate, peraltro, da una preghiera che mette in risalto come il santo marinario abbia colto il valore di alcune nuove tecnologie (la vela latina, dice la tradizione) e le abbia diffuse quali strumenti di difesa e miglioramento della vita umana; come si sia prodigato per guidare i naviganti al porto; e, ancor più, come abbia saluto guidare i suoi confratelli monaci e i suoi fedeli attraverso le tempeste degli scontri di civiltà.

Dice infatti questa preghiera a san Venerio: “Sostienici ... a dire ‘sì’con fiducia al Vangelo e a trovare in esso la guida nei grandi mutamenti tecnologici e culturali del nostro tempo perché l’umanità intera viva concorde nella pace fraterna. A noi e a tutti i naviganti nel grande mare della vita, oggi più che mai irto di ammalianti tentazioni e di pericoli mortali, accendi alto il fuoco dell’amore di Dio che, come faro, ci additi il porto sicuro che è Gesù, nel quale solo è la salvezza del mondo e dell’umanità”

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