SPEZIA SCOMPARVE CON LO SPRUGOLA

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« Quando a Spèza, daa Ciapa ai Quatro Canti, — l’éa ‘n gran orto de früta e de verdüe »

e, continua il poeta vernacolo: il suo golfo, ricco di insenature, era tanto frequentato da poeti, artisti e villeggianti, il « picciol borgo» — come lo cantò altro poeta Severino Ferrari — possedeva, fra l’altro, un’autentica attrattiva naturale: la Sprugola (a Sprügoa), cara agli spezzini per il valore sentimentale che vi era connesso, ed anche apprezzata dai naturalisti del tempo, quale rarità scientifica di gran pregio e considerazione.

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Chi avesse curiosità di particolari sulla vecchia, ed ormai scomparsa, Sprugola non avrebbe che a ricercare gli accenni che ne hanno fatto in loro scritti il grande Lazzaro Spallanzani, l’abate Antonio Stoppani ed altri scienziati, ma soprattutto Giovanni Capellini, degno figlio della Spezia, uno dei benemeriti fondatori della scienza geologica e paleontologica in Italia e nel mondo. Eppure — sembra strano affermarlo — la Sprugola rivive nel suo carattere e nella consistenza più veritieri in una collana di gustosi sonetti in dialetto spezzino composti molti anni or sono dal poeta vernacolo cavalier Alberto Faggioni la cui opera, se non così estesa e profonda come quella dell’indimenticabile Ubaldo Mazzini, sotto molti aspetti vi si accosta, per lo meno nella briosità e scioltezza del verso, nel genuino e nostalgico amore per la sua terra. Dobbiamo alla iniziativa della Pro-Spezia, presieduta dal generale M. Berti, se i versi in puro dialetto « sprugolino » del Faggioni (noto, in vita, per la sua modestia e ritrosia) furono portati alla ribalta qualche anno fa, insieme ad altri su argomenti analoghi, in un bel fascicolo (La Spezia, Tipografia Moderna, 1953) al quale accrescono interesse riproduzioni di acquerelli di Agostino Fossati e piani topografici della città prima del suo avvento a piazzaforte marittima. Vi si apprende che la grande Sprugola originale, quale risulta da un quadro del nostro Fossati — un placido laghetto con ciuffi di piante lacustri sui bordi. fra i muri degli erti, posto un tiro di schioppo a ponente maestro della chiesa di Santa Maria — dopo i lavori dell’arsenale risultò smembrata in una grande pozzanghera fra ciuffi di canne, rinchiusa fra nuovi palazzi intorno al vecchio quartiere della Cittadella (e qualche mio coetaneo forse la ricorda) ed in altra polla scoperta, rimasta dentro il recinto dell’Arsenale. In effetti la Sprugola del Fossati comprendeva due laghetti sorgivi comunicanti, il più piccolo dei quali dal Faggioni è chiamato Sprugolotto (o Spügootto).

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Ma la rarità scientifica della Spezia ante-arsenale, quella che, a detta del Capellini, era stata visitata e studiata dai maggiori naturalisti del suo tempo (lo scienziato spezzino era nato nel 1833) era la Polla di Cadimare, oggi scomparsa, in quanto soffocata entro la zona di riempimento operato dalla Marina militare di fronte al Capo di San Gerolamo (già sede d’una batteria genovese del secolo XVI, distrutta dagli inglesi nel 1814). La Polla, che si riteneva facesse parte dello stesso sistema di acque dolci sotterranee della Sprugola, scaturiva dall’acqua salsa del golfo a circa 82 metri dagli scogli del suddetto Capo di San Gerolamo (assai meno in uno scritto dell’abate Spallanzani), sollevandosi di alcuni centimetri dal livello del mare, formando una specie di colmo circolare gorgogliante del diametro di quasi dieci metri. Lo stesso Spallanzani ne aveva misurato la profondità sui 15 metri. Anche di ciò resta unica e sola testimonianza il delizioso quadretto lasciatoci dal Fossati! È curioso l’accenno alla Polla di Cadimare, in una poesia dell’ottocentista Aleardo Aleardi (1847) dalla quale si apprende che gli abitanti traevano norma dall’umore di essa del mutare del tempo: « chi della Polla torbidi vede bollire i lembi — ne tragge auspicio di venturi nembi ». scriveva Capellini nei suoi Ricordi (Zanichelli, Bologna, 1914): Per uno spezzino dirgli nato nella Sprugola valeva allora lo stesso che dire di un bolognese « nato all’ombra della torre degli asinelli ». E il nostro poeta Faggioni: « E quei che l’ha bevü, s’i devo andae – via daa Speza, i retorno, chi a l’asverta: - Sensa quel’aigua lì, i ne pèno stae ». Trovo nei sonetti che il simpatico vernacolista dedicava alla sua Sprugola una spiegazione abbastanza scientifica e convincente sulla natura fisica del fenomeno che a me come forse ad altri lettori riesce nuova: l’origine della Sprugola si doveva ad una spaventosa e profonda voragine, detta appunto la Sprugora, che si apriva sul terreno vicino al paese di Zègori nel territorio di San Benedetto. Le acque del torrente Zègori e tutti i rivoli montani prodotti dalla pioggia, precipitando in quel baratro, davano luogo ad un fiume sotterraneo che aveva sfogo, secondo il Faggioni, nella Sprugola della Spezia e nel mare attraverso la Polla. Ma nessuno, ch’io sappia, ha potuto verificare la realtà di tale supposizione, tanto più che ormai da anni delle famose polle non esiste che il ricordo... il Faggioni di ciò non sa darsi pace, ed afferma nelle sue rime che, malgrado l’opera degli uomini (ieri, come oggi, assai poco rispettosa dei valori naturali), la familiare acqua della Sprugola non s’è inaridita, ma ha solo deviato il suo corso sotterraneo. Così la Polla di Cadimare, soffocata dagli interramenti, si sarebbe aperto un varco verso la punta del Pezzino... Comunque sia, con la Sprugola (o le Sprugole) è scomparsa la vecchia Spezia; quella di cui solo pochi, ancora presenti, ricordano gli aspetti ed i caratteri di vetusta e tranquilla cittadina ligure, anche se già intaccati dalla più ampia funzione nazionale assegnata al suo golfo. Di essi traspaiono i nostalgici riflessi in altre rime del Faggioni che nel libretto citato fanno seguito a quelle dedicate alla Sprugola: il poeta fa la storia in versi della fondazione della piazzaforte nel 1860, ci dà un poetico quadretto dell’antica Via der Carmo (del Carmine) cara alla sua gioventù (con l’osteria della Cuca di buona memoria!) e, sulla maniera di Martin Piaggio genovese, ci lascia un delizioso spunto di vita archeologica spezzina collegata a quell’archivolto de Ganciàso (storpiatura del casato Cambiaso) collegante a via Unione l’antica strada di S. Carlo (via Sapri).


Fonte: Paolo Noceti
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